sabato 29 settembre 2007

Capitolo 2.6 - Sulla collina

Gli angeli sono brezza... che gonfia le vele dei nostri alberi maestri letti vuoti che ricordano amori, passati pagine che mancano alla fine di un bel romanzo fantasmi di questo gioco, senza regole, che è la vita. Io, che credevo di aver pianto tutte le mie lacrime e sputato via la mia anima, sono ancora qui a stringere pugni e denti contro una lapide di granito, dietro la quale non c'è niente o almeno niente che possa capire. E allora che senso ha tutto questo? Perchè ora sono qui ad implorarti, chiunque tu sia, di accettarla lì con te, io, che per anni ho urlato la mia rabbia alla luce dei lampioni, perchè non avevo un dio un po' più in alto? Io, che sono stato picchiato, bruciato, bastonato, rinchiuso, ma che ho sempre continuato a ridere, perchè se la vita è un circo, io sono il suo più grande clown. Io, ora, qui, su questa collina non riesco a trovare le parole per consolare un vecchio padre, né per chiedere perdono a dio, a dio, che è il suo mestiere perdonare. La mia legge è quella terrena, la legge scritta sulla polvere, la legge scritta con le lacrime e il sudore. La mia legge è quella dell'umana sofferenza, che non prevede la morte dei buoni, e quando questo succede, posso solo portare dei fiori su un pezzo di pietra, e provare a trovare dei responsabili in tutto questo, pur sapendo bene che la vigliaccheria, l'omertà, l'egoismo sono dei complimenti in confronto a quello che potremmo dire della razza umana tutta. Mi viene soltanto in mente una vecchia canzone che diceva pressapoco così:

"Dio di misericordia
il tuo bel paradiso
l'hai fatto soprattutto
per chi non ha sorriso.
Per quelli che han vissuto
con la coscienza pura
l'inferno esiste solo
per chi ne ha paura."

Peccato, credevo di aver trovato anch'io un posto nel progetto divino.

Alla fine del funerale accompagno Leroy a casa.
"Leroy, Cara ha lasciato un messaggio in una casella vocale e ha dato a me il numero. Diceva di aver lasciato dei documenti ad un certo O'Connor, ma qualcuno è arrivato prima di me. A quanto pare però O'Connor non ha parlato."
"Voglio ascoltarlo"
Gli do il numero e lo compone sul suo cellulare. Ascoltare la voce della figlia deve fargli un certo effetto perchè resta per qualche secondo in silenzio.
"Il SIS lavora con nuclei estremamente decentralizzati. Io stesso ho solo una vaga idea di tutto quello che sapeva Cara. L'agente speciale JH 01, quello che ha dato i fascicoli a Cara, era il terzo infiltrato nell'organizzazione. Dobbiamo sperare che ha avuto più fortuna di Cara ed è riuscito a scappare. Devo contattare i miei superiori per sapere se ha dato sue notizie, oppure è ancora nascosto in città, nel qual caso andiamo a lasciargli un messaggio".
Così mi guida per la città fredda, fino ad un appartamento. Facciamo due giri dell'isolato, ma sembra tutto tranquillo. Così scrive dei numeri su un pezzo di carta e glielo lascia nella cassetta della posta.
"E ora, vediamo che succede"

giovedì 27 settembre 2007

Capitolo 2.5 Un gentiluomo

Rientro in città e ricomincia a piovere.

Forse non sono più il benvenuto, o forse è un segno divino: dovrò ripulire le strade come fa la pioggia.

Prendo la Harbour Ave. e passando tra filari di alberi tristi arrivo in Market Square. Due bulldozer fanno bella mostra di sè mentre un paio di grattacieli iniziano ad alzarsi svogliati e sonnacchiosi.

Una volta c'erano infiniti piccoli bookshop polverosi, come quello del vecchio Jeremiah Hazelnut, e i carretti dei venditori di frutta... Non è rimasto più nulla, i vermi e i topi di città hanno mangiato quel mondo di legno e carta. E sono ingrassati.

Lincoln Street è appena dietro Market Square.
Basta imboccarla per sentire il profumo della libertà. É una parte di città del tutto incongruente con il resto, con tutte le sue piccole ordinate villette, la chiesa a metà della via e degli olmi incredibilmente vivi. Ci abitano in pochi ormai...

Arrivo al 215, nel giardino un bracchetto dorme e non si degna di aprire un occhio per guardare il sottoscritto. Non c'è campanello, busso con il batacchio a forma di leone...

Attendo un paio di minuti, sto per bussare di nuovo quando la porta si apre: in un perfetto abito di tweed verde scuro con camicia bianca e cravatta marrone, la pipa in mano appare un anziano signore di circa un metro e novanta con i capelli bianchi assolutamente in ordine. Sorride.

"Il signor Leroy Harmon?"
"Sir Leroy Harmon giovanotto, in persona, ma non si preoccupi, il mio titolo non ha valore quì."
"Mi dispiace arrivare senza preavviso ma sa..."
"Non si preoccupi, un detective non è mai in ritardo o in anticipo, arriva quando è il momento di arrivare." Si incupisce: "Devo immaginare allora che ci abbia lasciati..."
Questa volta davvero non ho la battuta pronta, il vecchio pensa troppo velocemente.

"Ma la prego venga a prendere un té."

Nel salotto oltre al pendolo, alla Union Jack, alla libreria con circa duecento volumi e alle poltrone intorno al camino acceso non c'è altro. Nobile sobrietà.

"Sa signor..."
"Blade, Maximilian Blade."
"Vede signor Blade, non ricevo visite da circa dieci anni, nè telefonate da mia figlia da quasi tre mesi. Prima di perdere i contatti, mi disse che un giorno se le fosse capitato qualcosa, avrebbe mandato qualcuno ad avvisarmi. Quindi le chiedo: come sta Cara Barol?"

Merda! Avrei voluto fare di tutto ma non il latore di messaggi funebri.

...

Non so come ma l'ho fatto, ora il vecchio sa tutto.
"Vede signor Blade, non piangerò sulla sua spalla non si preoccupi. Conosco il mestiere di mia figlia.
Lo conosco perchè fui io a inserirla nell' MI6."
"Quindi anche lei..."
"Sì, io sono il referente quì. Tengo i contatti con la vostra Agenzia.
Se mia figlia l'ha mandata quì evidentemente si fidava di lei. E lo farò anch'io: Charlotte, mia figlia, seguiva in realtà le vicende del traffico d'armi tra il vostro paese e alcuni dittatori africani, questi traffici vengono coperti e finanziati con quelli, penalmente meno rischiosi, della droga. Le aziende cinesi hanno deciso di appropriarsi di mercati e risorse di quel continente sventurato, e hanno commissioni milionarie con governi poco credibili dal punto di vista della democrazia, cui giungono, ovviamente, armi. Le armi sono fornite, paradossalmente, dal vostro paese, ovviamente in maniera clandestina, dai boss che gestiscono la droga importata direttamente dalla Cina."

Freddy...

"La geopolitica non mi interessa molto, se non ci fossero i cinesi ci saremmo noi a depredare l'Africa. Voglio solo trovare i mandanti dell'omicidio di sua figlia. La mia coscienza ne ha bisogno."
"L'aiuterò, poi avrò il resto della mia vita per maledirmi e chiedere perdono a Dio."

martedì 25 settembre 2007

Capitolo 2.4 - O'Connor

Ho uno strano presentimento. Come l'elettrostatica nell'aria, prima della tempesta. Probabilmente sono solo paranoico, ma per mettere a tacere quella vocina del cazzo, mentre la mia Ill Nino mi porta verso Muddy Creek, compongo il numero di O'Connor.
Fuori posto.
Gas.

Arrivo, ma ci sono delle volanti della polizia che bloccano la strada. Giro e parcheggio in una traversa. Scendo dalla macchina, ma non faccio in tempo a chiudere l'auto che mi sento bussare sulla spalla.
Mi giro, da persona educata, e mi becco un pugno in pieno volto.
Il tempo di mettere a fuoco l'immagine, e riconosco quel bastardo di Bauer.
"Questo è per quell'ambientale"
"Quale ambientale?"
"Blade, il giorno che ti becco ti chiudo in gabbia, getto via la chiave e per festeggiare me ne vado a puttane d'alto borgo. E ora dimmi cosa cazzo ci fai qui"
"L'hanno già ucciso O'Connor?"
"Che il diavolo ti porti Blade, potrei arrestarti per occultamento di prove"
"Ma poi nessuno ti direbbe come faccio a sapere di O'Connor"
"Giusto"
"Allora facciamo un patto: tu mi fai vedere la scena da O'Connor e io ti dico quello che so"
"Facciamo invece che io non ti arresto per il microfono e tu mi dici tutto quello che sai"
E si. M'ha proprio fregato.
"...e va bene... Cara Barol mi ha lasciato un numero di una casella vocale, in Colombia, dove diceva di aver lasciato dei documenti a questo O'Connor. In che condizioni era la casa?"
"Blade, qualunque cosa stessero cercando, di certo O'Connor non gliel'ha data: l'hanno torturato a morte, gli hanno staccato qualunque cosa si possa staccare da un corpo umano. L'appartamento era completamente distrutto: hanno persino spaccato le tracce dei cavi della corrente nel muro. Ci ha chiamato quella pettegola della portinaia, dopo aver sentito tutto quel casino. La Cia mi ha tolto il caso non appena abbiamo diffuso le generalità di Cara Barol, e probabilmente mi toglierà anche questo di O'Connor. È solo per questo che ti sto dicendo queste cose e non ti prendo a calci nel culo. Mi sono rotto di fare solo il pulisci scarpe a quelli dell'agenzia centrale e ai federali. E se vuoi un consiglio, lascia perdere anche tu."
Per la prima volta in tutta la mia vita, mi dispiacqui davvero di essermi fatto la moglie di Bauer.

E così sono di nuovo sulla strada, con la mascella un po' più dolente di prima.
L'edificio ha le scale anti-incendio esterne: se voglio dare un'occhiata in casa O'Connor mi serve un mandato dei federali, oppure un buon piede di porco, e qualche ora per aspettare che il sole vada ad illuminare posti migliori.
E, guarda caso, ho proprio un'altra persona da andare a trovare.
Spero davvero di non seguire soltanto una scia di sangue.

lunedì 24 settembre 2007

Capitolo 2.3 Visite

É domenica.
Mi sveglio di pessimo umore, ho dormito poco e male, il tiro a segno mi ha rilassato, ma ormai il compito di solitario guerriero mi sta logorando, o forse con l'età inizio a provare dubbi su ciò che ho ritenuto fosse morale per molto tempo. É possibile che stia inconsciamente preparandomi alla resa dei conti spirituale. La spiegazione che preferisco, tuttavia, è che dovrei smetterla di dormire tre ore per notte e dimenticare di riempire il frigo... credo che il frigo vuoto sia una delle cause peggiori di depressione per il sottoscritto.

É ancora presto, le strade sono vuote, il tempo è più avaro di sole che il presidente della Fed di dichiarazioni comprensibili. La domenica non si lavora, e la gente normale resta con la famiglia.
Andrò anch'io a far visita a un pezzo di famiglia: Jeff Buckley, archivista del Sistema Medico nazionale.

Arrivo in sede verso le undici, il cielo è coperto e sta calando una leggera nebbia, anche il vento ha iniziato a soffiare, non basterebbe un monsone a portare via il puzzo dall'edificio in cui lavora Jeff. Lo trovo barricato nel suo ufficio, come ogni giorno, di ogni settimana, Jeff non prende mai le ferie, Jeff non resta a casa più di otto ore al giorno, Jeff non si ammala mai, lui dice che per via del suo lavoro i microbi e i batteri lo rispettano. In realtà Jeff a soli 63 anni è completamente suonato da almeno trent'anni, papà diceva che era per il suo hobby, il pugilato clandestino.

Entro e gli piazzo le sue ciambelle domenicali al cacao sotto il naso, poi stappo i due cafféllatte e gli chiedo le quotazioni dei Sunset contro gli Hawks. Jeff mi guarda, ride, elimina due ciambelle in venti secondi circa e poi mi chiede:
"Che nome e numero ti servono?"
Maledetti matti, sono davvero la bocca della verità, ho sempre pensato che Shakespeare dicesse conse sensate.
"John O'Connor, 00470076, quanto tempo ti ci vuole?"
"Tempo, che parolone... non ho bisogno di tempo, il tempo ha bisogno di me, altrimenti non ci sarebbe. Ci hai mai pensato Max? Il tempo non ci sarebbe... devo ricordarmi di dirlo a padre O'Hara stasera in chiesa."

Tre minuti, ed ecco la risposta:
"John O'Connor, sei fortunato Max, è vicino... Muddy Creek, Stash St. 46, numero di telefono 0715678976, conosco il posto, quindici miglia dai sobborghi ovest. Ho fatto il commesso per un po' laggiù, bei tempi Max..."
"Certo Jeff, hai ragione. Ci vediamo domenica prossima Jeff, riguardati mi raccomando."

Imbocco l'uscita e in due minuti sono in strada, il vento si è fatto più impetuoso e cade qualche goccia di pioggia.
"Max!"
É Jeff alla finestra...
"I Sunset sono dati 2 a 1, ma io ti direi di giocare sugli Hawks, la quotazione è 5 a 1, ma il mestiere dei bookmaker è rubar soldi ai polli."
Rientra dentro e chiude la finestra.
Credo che un giorno gli darò retta.
Non oggi però, ho una visita da fare.

domenica 23 settembre 2007

Capitolo 2.2 Un po' più giù

Inutile. Ho bisogno di un po' di tiro al bersaglio per prendere sonno.
Prendo in spalla il mio Winchester 70 Stealth, un pacco di 51mm, e salgo in macchina.

Il porto della città fredda è il principale posto di smistamento dell'eroina di Freddy il pazzo. Funziona così: ragazzini che devono mantenere la loro famiglia, o in astinenza, vengono convinti a stare lì tra i capannoni sulla via del porto ad aspettare i tossici, con qualche bustina di ero. Intanto per strada, nascosto in una macchina, il luogotenente tiene il grosso della droga. Quando i ragazzini la finiscono, gli portano i soldi, e ne prendono altra. Così i luogotenenti non si espongono e sono sempre pronti a scappare, ai ragazzini non si da troppa roba in mano e comunque, se beccano un ragazzino, sanno che quello non parlerà mai, altrimenti gli stuprano le sorelle e gli impiccano la madre.
Ma, se si conosce come funziona, nessun sistema è perfetto. Di tanto in tanto, vengo qui la notte, a ricordare a questi bastardi, che possono anche mandare i loro tredicenni in giro, ma questo, non significa “sicurezza”. Parcheggio un po' lontano, ma la notte mi è amica in questi casi. Trovo un punto non troppo scoperto e mi ci arrampico. Il posto è l'ideale per lo spaccio, ma anche per le imboscate.
Ecco un ragazzino che sta uscendo sulla strada, ha finito le dosi. Aspetto, intanto tiro l'otturatore e lo blocco in apertura. Metto il colpo nella camera di cartuccia, ritiro il carrello per mandare in chiusura l'otturatore e dò un colpetto sulla leva oace, per stabilizzare per bene il colpo in canna.
Il ragazzino è arrivato alla macchina. Tiro su la diottra, e valuto le distanze: saranno 400 metri. Allineo l'innesto a coda di rondine alla tacca di mira, ed ecco che esce il luogotenente. Che bella giacca.

Centro degli occhi: se faccio fuoco ora gli riduco la testa come un'arachide nello schiaccianoci.
Un po' più giù.
Plesso solare: se faccio fuoco ora gli buco un polmone e rischia di sopravvivere troppo felicemente.
Un po' più giù.
Stomaco: se faccio fuoco ora difficilmente si salverà, ma morirà dissanguato tra atroci sofferenze.
Un po' più giù.
Perfetto.
Bang.

"Pronto, ospedale"
"Un'ambulanza in via Bob Robertson, c'è un ferito da arma da fuoco all'inguine"
"Il suo nome, prego?"
"...So che è una domanda di routine, ma potrebbe evitare di farmela, una volta tanto?"
"Vaffanculo"
La gente non apprezza mai la sincerità.

Capitolo 2.1 01157050551564

Sono le 2:20 a.m. quando calpesto l'umido vialetto che porta all'ingresso di casa, mentre l'odore dell'erba umida mi riempie i polmoni e le orecchie godono del silenzio notturno, rotto solo dal cigolare del cancelletto.

Ho la testa pesante, e, cosa peggiore, nessun pensiero mi attraversa il cervello... Solo il vuoto, la mia più grande paura.
Faccio una doccia e mi butto sul divano, afferro il telefono e compongo il numero lasciatomi in sfortunata eredità da Cara: 011 57 050 551564... attendo... clac:

"Siete stati connessi alla casella vocale dell'agente AK 7321, la casella contiene UN messaggio:
Sir - è la voce di Cara - ho preso contatto con l'agente speciale JH 01, ho ricevuto copia dei fascicoli da lei richiesti, sono al momento affidati alle cure di Mr. John O'Connor, numero di previdenza sociale: 00470076. Il signor O'Connor è al corrente delle nostre operazioni. Resto in attesa di nuove disposizioni."

Domande... non ho tempo, non ho voglia di pormele. Non sono confuso, non sento di essere stato usato, non ho bisogno del mio bicchiere di scotch. Non ho portato a termine il mio lavoro con Cara, Cara mi ha coinvolto nel suo.

La gente normale andrebbe dai Federali e lascerebbe loro a sbrogliare la matassa, conservando la simpatica sensazione di aver assolto ai propri doveri morali. La gente normale...

venerdì 21 settembre 2007

Capitolo 2 - L'agenda

In centrale c'è Edward Bauer stasera.
"BLADE! Maledetta quella cagna che ti ha figliato, mi sembrava di essere stato chiaro l'ultima volta!"
"Si calmi Bauer. La vittima era una mia cliente."
"Ah, ecco! Come se non bastasse, mi sventrano una donna davanti a mezza stazione e ci sei anche tu di mezzo!"
"Bauer, mi aveva chiesto di essere nascosta per qualche giorno e accompagnata alla stazione, ma non m'ha voluto dire nè da chi scappava nè perché. Non ho svolto bene il mio lavoro e per questo la mia cliente c'è finita di mezzo. Può evitarmi la predica almeno lei?"
"Brutto sacco di merda che non sei altro, non venirmi a raccontare cazzate! Non ci credo manco per il cazzo che non sai niente, ora vieni nel mio ufficio e mi racconti tutto, o stanotte ti chiudo in cella con Kelly 'la bestia', e domattina scommetto che ti si è sciolta la lingua!"
Andiamo nel suo ufficio.
"Bauer, la gente viene da me e non da voi perchè io non faccio domande. Avete identificato i cinesi?"
"Non cambiare argomento! Ora ripetimi tutto per filo e per segno, dalla prima volta che i tuoi occhi si posarono su quella ragazza fino all'ultimo passo che hai fatto prima dell'arrivo dei miei uomini! Ci sono tre cadaveri sparsi qua e là per mezza stazione, altri quattro con delle semiautomatiche addosso e dei buchi in fronte che sembra esserci passato un aereo dentro e tu mi vieni a parlare di riservatezza!"
Tra polizia e spioni non c'è un buon rapporto.
Gli racconto tutto con ordine, mentre un agente batte a macchina.
Tutto, tranne dell'agendina, ovviamente.
"Collaboriamo per capirci qualcosa?"
"Blade, sparisci dalla mia vista prima che ci ripenso e mando te a rastrellare gli intestini in giro per la stazione. Qui siamo noi che risolviamo i casi, tu torna a spiare qualche riccone che non sa tenere il pisello tra le mutande. E resta a mia disposizione in città."
Firmo la deposizione ed esco fuori. La pioggia mi batte sul volto come sputi di un dio schifato. Bauer. Testa di cazzo.
Ritiro la macchina dal parcheggio della polizia, faccio il giro dell'isolato e mi fermo davanti la centrale. Accendo la radio modificata che ho in macchina e la sintonizzo sulla frequenza del microfono ambientale che ho nascosto sotto la mia sedia nell'ufficio di Bauer. Ha solo cinque ore di autonomia, mi ci vuole un po' di fortuna.
Solo rumori di sottofondo. Meglio, così finalmente posso guardare l'agendina di Cara.

Soltanto ora, a mente lucida, la riconosco: è una mia vecchia agendina che avevo a casa e che non avevo mai usato.
La apro e sfoglio un po' di pagine. Sembra completamente vuota. La risfoglio più lentamente, e trovo una pagina con scritto qualcosa:

011 57 050 551564
-------------
Leroy Harmon
via Abraham Lincoln 215

Via Abraham Lincoln è una delle parallele dei quartieri bassi. Ma il primo numero sembra un internazionale. Tiro fuori il cellulare, premo a lungo il numero 1 e parte la chiamata automatica verso il gestore di telefonia.
"Buonasera centralino"
"Buonasera, posso sapere se 011 57 è un prefisso internazionale?"
"Certo, un attimo solo... 011 57 ha detto?"
"Si"
"Mmm... Colombia"
"Colombia???"
"Si, Colombia"
".. la ringrazio, buona sera"
Solo ora mi rendo conto di non averci capito niente di tutta questa storia.

"Capo Bauer" gracchia la radio
"Si?"
"Abbiamo identificato i quattro cinesi. Erano stati tutti schedati dopo una retata nella zona portuale, arrestati per possesso di stupefacenti. Da indiscrezioni ci risultava che fossero loro i veri gestori del traffico, ma non riuscimmo a trovare niente per incastrarli per spaccio internazionale e si fecero solo qualche anno di gattabuia per la poca droga che avevano addosso. Non sappiamo che legami possano avere con la ragazza"
"Grazie, dammi gli incartamenti e fammi sapere quando sono pronti i risultati dell'autopsia. E già che ci sei, portami un caffè."

Capitolo 1.5 I treni

Non ricordo il nome di quell'attore di vaudeville che non amava i treni... La sua battuta preferita era "É molto brutto prendere un treno, preferisco prenderne uno, e due sì". In realtà non era molto famoso, anzi non era famoso per un cazzo, e in effetti le sue battute erano piuttosto penose.
Fatto sta che morì in un incidente aereo, un volo sperimentale su un bimotore. Strano destino no?

Continua a piovere mentre io e Cara ci avviciniamo al binario numero nove, il treno che deve portarla lontano è in ritardo, un fottuto ritardo, forse aveva ragione il comico del vaudeville, meglio non fidarsi dei treni.

Ore 20:59, la pioggia è passata lasciando spazio a una nebbia umida e gelida, il treno non arriverà in breve tempo, è bloccato a diciotto miglia da noi da uno smottamento causato dalle continue piogge. Io e Cara usciamo dalla stazione, alcuni cinesi sniffano colla in un angolo, magri, con i vestiti laceri, zuppi e sporchi come il tappeto di una mensa per i poveri in un giorno di novembre. Ci dirigiamo verso la macchina quando i cinesi si alzano e vengono verso di noi, sono sette. La mia diffidenza dice che potrei ammazzarli tutti, e mi resterebbero nove pallottole. La mia educazione mi fa aspettare un attimo di troppo.

Succede tutto in trenta secondi circa.

Tre cinesi sono dietro di me, due prendono Cara, gli altri tirano fuori delle automatiche e iniziano a sparare. Estraggo anche io, la mia mira è migliore, li ammazzo tutti come cani rabbiosi poi mi giro verso Cara.

É a terra in un lago di sangue, una lama nel ventre, non respira più.

Mi getto all'inseguimento dei tre cinesi rimasti, questi si buttano nella stazione, cercando di confondersi con la folla, non conoscono bene il posto e si vede, taglio loro la strada, nei pressi del binario nove. Gli punto addosso la pistola e gli intimo di mettere il muso a terra. Si girano e saltano nel binario, appena in tempo perchè il treno che aspettavamo potesse investirli in pieno.
Vatti a fidare degli orari dei treni.

Torno da Cara correndo, la polizia non è ancora arrivata e neanche un passante si è fermato a vedere cosa sia successo, stringe ancora in mano quella che sembra un agendina. Vinco le involontarie contrazioni post mortem e la raccolgo.

Prima di aprirla devo pensare a un funerale tuttavia.

giovedì 20 settembre 2007

Capitolo 1.4 Il sacco

Come tutte le mattine andai in ufficio, per non dare nell'occhio, e lasciai Cara a casa.
Trovavo sempre qualche scusa per affacciarmi ogni cinque minuti dalla finestra del mio ufficio, ma non vedevo mai due volte la stessa macchina parcheggiata, nè gente che mi stesse controllando.
Telefonavo ogni ora a Cara. La paranoia è una virtù, si dice in questi casi.
Decisi che saremmo partiti questa sera perchè il meteo prevedeva pioggia: niente di meglio per coprirsi il viso.
La mattinata passò in fretta, senza clienti. Tornai a casa con la spesa ma non vidi Cara. Pensai che si fosse appisolata. In queste notti la sentii spesso camminare nella sua stanza. Normale fosse in apprensione.
Volevo fare una doccia prima di mangiare, ma non avevo molta fame, per cui decisi di fare prima un po' di attività fisica, anche per prepararmi alla sera. Ma niente mi avrebbe preparato a quello che sarebbe successo.
Misi una maglietta bianca, mi fasciai le mani e cominciai a prendere a pugni il sacco.
La faccenda di Cara mi aveva fatto staccare un po' la spina da quella che era la mia missione, e questo era un bene, anche per confondere un po' Freddy il pazzo. Giorni di guerra, giorni di pace, senza motivo. E non potevo esagerare, perchè ogni volta rischiavo sempre più di venire preso.

Il sacco oramai era sbiadito all'altezza dei miei pugni, ma non si era mai lamentato. Il sacco è lo sparring partner perfetto, incassa e non si lagna mai. Puoi parlare al sacco mentre lo colpisci, e lui sarà sempre comprensivo, prenderà i tuoi pugni ricambiandoti col calmante sibilo dei suoi organi in segatura.
"Freddy"
Affondo.
"FREDDY"
Jab, jab, affondo.
"Maledetta infezione della crosta terrestre"
Schivata, jab, gancio.
"Non mi conosci, ma sono quello che chiuderà la tua marcia all'inferno"
Ginocchiata, calcio in allungo.
"Sono la cinghiata sulla schiena mentre guardi avanti"
Gomitata, gomitata, affondo.
"Sono lo sputo di sangue dal tuo muso rotto"
Calcio basso, schivata, affondo.
"FREDDY"
Gomitata, percossa laterale, schivata.
"Sono l'incubo dalla testa di un pazzo"
Bloccaggio, ginocchiata, affondo.
"Sono la bava di un morto di overdose"
Jab, affondo, jab, gancio.
"Sono una febbre emorragica. E la sua cura"
Rumore.
Mi girai, Cara era lì.
Tirai il fiato. "Da quanto sei lì?"
"Chi è Freddy?"
"Andiamo a mangiare"

mercoledì 19 settembre 2007

Capitolo 1.3 La notte

Non dormii granchè quella notte.
Ma non furono i fantasmi del passato a tenermi sveglio, se in qualche modo è da questi che bisogna guardarsi, nè le mie aspettative sul futuro.
Il lavoro era l'ultima delle mie preoccupazioni, la faccenda era apparsa fin troppo semplice, non ero sveglio per via di Cara Barol, che dormiva al piano di sopra. Forse non ero affatto sveglio.
Andai vicino la camera da letto, non so esattamente perchè, ma restai lì a pensare alla casa, aveva ospitato di nuovo qualcuno diverso da me. Nella sua antica austerità sapeva ancora essere accogliente, il miglior posto al mondo, l'unico dove restare forse.
Cara dormiva della grossa, scesi di sotto e cercai di riaddormentarmi.
Passai il tempo a pensare alle volte in cui mi ero ubriacato al college, questo pensiero mi rilassò e portò via con sè il buio. La luce, invece, portò via i ricordi e gli amici.
Meglio così, mi sentivo sollevato e meschino allo stesso tempo.
Mi addormentai.
Fui svegliato dal caffè di Cara, quella sera l'avrei accompagnata in stazione.

martedì 18 settembre 2007

Capitolo 1.2 - 10 giorni

Entrai dal garage, e feci scendere Cara dalla macchina.
Fece un'espressione stupita, ma potevo capirla: il garage era la mia palestra personale, con bersagli, armi, pesi e quant'altro.
Quando hai bisogno di non pensare, un sacco da pugilato aiuta non poco.
Salimmo di sopra e le mostrai il resto della casa.
"Puoi dormire qui, nella camera da letto, io dormo sul divano..."
Stava per dire qualcosa, ma probabilmente la stupì di più il vedere la camera da letto immacolata. Non dormivo lì da anni.
"Il bagno è qui di fianco, se vuoi fare una doccia, io intanto preparo qualcosa da mettere sotto i denti"
Le diedi un accappatoio e mi misi ai fornelli, ma prima, mi versai qualche dito di scotch: "dalla Scozia" diceva l'etichetta. Figuratevi.
Aprii il frigo e efferrai delle ali di pollo. Le ripulii della pelle e dalle ossa, tagliai il pollo a cubetti e lo cucinai in un po' di vino bianco e tabasco. Trovai delle salse da spalmare sul pane così ne misi qualche fetta a riscaldare nel forno, intanto condii un po' di verdure e feci soffriggere un po' di cipolla.
Certo, non sarà l'Hilton, ma a vivere da soli si imparano tante cose.
Cara uscì dalla doccia, si mise dei miei vestiti puliti e venne a tavola.
"Spero che la casa ti piaccia, perchè dovrai rimanerci per una decina di giorni"
"Ma il mio volo è tra sei giorni!"
"Appunto, devi disdirlo. Se non vuoi lasciare tracce lascia perdere gli aereoporti, basta fare una telefonata ben sceneggiata ad un centralino per avere informazioni. Dovrai prendere il treno."
Di nuovo quella faccia stupita.
"Accendi la televisione se vuoi, nella libreria lì di fianco ci sono un po' di giornali, qualche film e qualche libro"
"Va bene..."
"Sei sicura che dove andrai non potranno trovarti?"
"Si, vado da parenti che nessuno conosce"
Con qualche telefonata cambiai il biglietto dell'aereo in uno per il treno, uno di quelli senza prenotazione, utilizzabili a piacere, verso la stessa città.
"Max"
"Si?"
"Grazie"
Avevo proprio bisogno del sacco, se volevo mantenere un po' di professionalità.

lunedì 17 settembre 2007

Capitolo 1.1 Ombre

No, non sono paranoico. È vero, la mia cliente aveva detto di non essere stata seguita, ma, sapete, la prudenza allunga la vita, in molti casi. E comunque, siamo tutti seguiti in qualche modo, che noi lo vogliamo oppure no. Prendete la nostra ombra, è sempre lì, parte sotto i nostri piedi, e resta a imitare ogni nostro movimento. L'ombra non decide mai nulla, solo deforma quello che noi facciamo con la sua figura nera.
Non ho ancora capito come faccia a non annoiarsi, sempre lì sospesa nella vita altrui, in silenzio. L'ombra non parla mai con nessuno...
Nessuno che non voglia ascoltarla veramente.

Mio nonno era solito raccontarmi una storia riguardo al padre: era un inverno gelido del XIX secolo e nel Manitoba quell'anno le nevi erano state abbondanti. Il mio bisnonno era a caccia di caribou, e si era acquattato sotto una pianta di rovi, presso un tasso, e stava lì in attesa, finchè non si allungò sulla neve un'ombra, immobile, diffidente. Il mio avo non riusciva a scorgerne il proprietario, allungò il viso fuori del nascondiglio ma sentì qualcuno afferrargli i piedi e tirarlo via dall'altra parte.
Non ebbe il tempo di alzare il cane del fucile, fortunatamente: era uno sciamano piedi neri, con un giovane di una quindicina d'anni a cui disse, in modo che il padre di mio nonno potesse sentire: "Non fidarti delle ombre, neanche della tua, loro sono con noi ma non sono state create per noi."
Mangiò con loro quella sera il mio bisnonno, un caribou arrosto, catturato dai piedi neri.

Anticamente si parlava dei morti come di ombre sfuggenti, gli indiani dicono lo stesso. L'ombra con le sue due dimensioni forse vuole ricordarci che torneremo a essere bidimensionali, come un granello di polvere. La polvere...


Mi diressi verso downtown, ero a corto di benzina, e avevo bisogno di bere. Cara Barol mi aveva messo una sete dannata addosso. Guidai per circa seicento metri sulla quarantesima prima di girare in Melville Avenue e fermarmi al numero 19, di fronte a un vecchio villino vittoriano, cadente, con lo steccato forse bianco in precedenza. Il giardino non era curato, non c'erano fiori, non vi gironzolavano gatti.
Una volta ci abitavo con tutta la famiglia.

domenica 16 settembre 2007

Capitolo 1 - Cara

Ore: 21:35.
Luogo: stazione ferroviaria della città fredda.
Motivo: un lavoro fin troppo facile.
Pioveva una pioggia pesante e sporca mentre accompagnavo la mia cliente al suo binario e, senza saperlo, incontro alla morte.
Un altro cadavere sulla mia già pesante coscienza.
Ma andiamo con ordine.

Qualche giorno fa, una brunetta un po' troppo spaventata è piombata nel mio ufficio e senza troppi giri di parole mi ha offerto 1000 pezzi per essere nascosta qualche giorno e scortata fino all'aereoporto. Diceva che aveva pestato i piedi alla gente sbagliata, e questi la stavano cercando. Aveva dei begli occhi neri, la carnagione scura, e quell'aria stanca e un po' sciupata delle prostitute: probabilmente aveva nascosto qualche spicciolo dalla percentuale del suo magnaccia, ma l'avevano beccata e ora stava cercando di scappare.
"Signorina..."
"Cara Barol"
"Signorina Cara, sa', ora mi trovo in una situazione delicata"
"Cosa vuole dire?"
"Voglio dire che, anche se lei ha accuratamente evitato l'argomento, devo sapere da chi la devo proteggere, per valutare la pericolosità del suo nemico"
Abbassò lo sguardo, ci pensò un attimo e mi disse:
"Le basta sapere che è gente pericolosa, e che sono in molti. D'altronde se sono venuta da lei e non sono andata dalla polizia è perchè sono in una situazione molto delicata. E la sua discrezione è pagata."
"E' sicura che non l'hanno seguita fin qui?"
"No, oramai si saranno accorti della mia assenza e avranno mandato i loro uomini a cercarmi sulle strade che portano fuori, all'aereoporto e alle stazioni, ma non mi hanno seguita, non sono una sprovveduta".
Ma era maledettamente avara di dettagli.
"Va bene, allora non perdiamo altro tempo".
Andammo nel garage, la feci sdraiare sul sedile di dietro, la nascosi sotto una coperta, e partii.
Il cielo era scuro come se l'avessero pestato, e l'aria era intrisa di umidità. Guardai il barometro che avevo sul cruscotto, ma la pressione era ancora alta, non avrebbe piovuto nelle prossime ore. Girai un po' per la città: passai per Chinatown, sempre brulicante di attività ad ogni ora, i quartieri residenziali dei poveri, dove ti rubano la casa se non c'è sempre qualcuno armato dentro, il porto, con i suoi cargo pieni di merce scadente affianco alle navi da crociera extra-lusso, fino a salire per le colline, nei quartieri dei ricchi, dove la strada è più sgombra dal traffico.
Era vero, nessuno mi seguiva.

Prologo - 2 - Discendenza

La gente normale... ma capirete che già dal nome di famiglia che mi porto dietro, qualcosa nei Blade è geneticamente lontano dalla normalità. Il padre del padre di mio nonno era un medico.
O almeno lo era per i suoi tempi.
In realtà era una specie di ciarlatano che raccoglieva erbe mediche nei boschi del Wyoming. Non che non guarisse i suoi pazienti, intendiamoci, ma da quello che mi è stato tramandato, trovava molta più soddisfazione nella sua attività di botanico che nella vita tra i suoi consimili. Pare che avesse molta dimestichezza con le bestie selvatiche, e che sua moglie si lamentasse spesso del suo odore, più vicino a quello del muschio che a quello di un essere umano.
Morì per mano di consimili, mentre raccoglieva funghi, accusato di stregoneria.
Né sua moglie né i suoi figli poterono andare in analisi.

domenica 9 settembre 2007

Prologo

Max Blade.
Detective privato.
Così recita la targhetta in simil-bronzo sulla porta del mio ufficio in via Mark Twain, n°1, leggermente sbiadita non so se dal tempo, dalle piogge acide o dalla mia stanchezza, che oramai, evidentemente, percepiscono anche i soprammobili.
“Detective privato”.
Non sono mai riuscito a trovare un termine più adatto per il mio mestiere, anche se, non sono proprio quello che si può definire un “Detective privato”.
Quella è una buona etichetta per il lavoro che mi da da mangiare. In realtà, tra un pedinamento e un altro, porto avanti una crociata personale contro “Freddy il pazzo”, un mafiosetto tutto crack e belle donne che da anni si toglie la merda da dietro con carta igienica troppo costosa per quel suo culone obeso.
Perchè?
Anni fa, per via di un caso, le nostre vie si incrociarono e... beh, successe qualcosa di, come dire, spiacevole (pallido eufemismo).
La gente normale va in terapia quando succedono queste cose.
La gente normale.