sabato 8 dicembre 2007

Capitolo 4.1 Ricordi

"Max, fai un altro giro con la ritorta in quel nodo a cappuccino"
"Si papà"
"Allora, quanti pesci prendiamo oggi?"
"...Papà, lo scorsoio è lento"
"Non ti preoccupare, si stringe da solo con la trazione della corda. Piuttosto attento a non farlo bagnare troppo, altrimenti se la corda si gonfia dopo non lo sciogliamo più"
"Si, papà"

"Vedi figlio, il segreto per fare un buon nodo a mezzo collo è non tirare troppo la corda che avanza: è un nodo molto forte, e facile da sciogliere anche se la corda è in tensione, non devi tirare troppo altrimenti rovini i legnuoli e lo rendi solo difficile da slegare dopo, senza aumentare la sua tenuta."
"Papà... non puoi farli tu i nodi?"
"Figliolo, devi impare, è importante. Anche se non ti piace la barca, un giorno dovrai legare un pacco sopra la macchina e devi sapere quante passate dare, e che nodo ti conviene usare. E poi guarderai quelli che invece hanno fatto dodici giri con la corda e guidano col braccio fuori dal finestrino per reggere il carico e nonostante tutto alla prima frenata brusca gli cadrà tutto sul cofano davanti!"
Oppure dovrai mettere in tensione quattro giri fatti un po' a caso dagli scagnozzi di un pezzo grosso della mafia cinese per poterlo decapitare con una katana.
Grazie papà.

"Figliolo, lega tu la vela, mi raccomando un gassa d'amante, non fare il nodo a galera. E ricordati che se la vela cede mentre il telo è in tensione la barca scuffia, e io posso anche morire. È una responsabilità la tua! Da un nodo può dipendere una vita!"
Anche più d'una, papà.

La prima volta che mi portò a pescare avevo sei anni.
"Papà?"
"Si?"
"Ma se i pesci sono morti perchè si muovono?"
"E cosa ti fa pensare che siano morti?"
"Beh, non respirano"
"Si che respirano, solo che respirano in un modo diverso dal nostro"
"Ah..."
"Sai, in irlanda c'è una leggenda. Un tempo tutte le creature vivevano sulla terra, i cervi, gli elefanti, gli uccelli e anche i pesci. Poi un giorno, la dea della terra litigò col dio del cielo e dell'aria, era un mascalzone il dio del cielo, sai? Allora la dea della terra, arrabbiata, iniziò a tirargli addosso pietre, terra, radici, tutto quello che riusciva a trovare, capisci? Ma il dio del cielo e dell'aria era anche lui molto forte, e faceva soffiare il vento, e creava tifoni e uragani e grandine in modo da disperdere tutto quello che la dea gli scagliava contro, ma le donne hanno la testa dura figliolo, e la dea continuava, perchè era molto arrabbiata e così ci furono tempeste e disastri e alluvioni su tutta la terra. Allora gli animali, di ogni posto, scapparono, terrorizzati, verso l'acqua, perchè il dio dell'acqua non avrebbe permesso di sollevare anche la terra sotto l'acqua. Era... come dire... un'altra giurisdizione, capisci? Senza più gli animali sulla terra la dea era ancora più arrabbiata e così le tempeste e gli uragani continuarono per anni e anni e anni. Poi un giorno, finalmente, la dea della terra si stancò, e smise di combattere contro il dio dell'aria. Gli animali potevano così tornare a vivere sulla terra, ma i pesci erano così terrorizzati dalla battaglia che c'era stata che preferirono rimanere nei fiumi, e nel mare, e si abituarono a vivere lì, tant'è che ancora oggi i pesci sguizzano e nuotano nei fiumi e negli oceani, ad ogni profondità."
"Papà?"
"Si?"
"È vero?"
"Solo se ci vuoi credere, figliolo"

domenica 25 novembre 2007

Capitolo 4 - Una tranquilla notte di regime

Salgo in macchina e ingrano la prima. Mi duole ancora il braccio.
Ho dovuto fare una settimana di ospedale. Nonostante l'infermiera avesse una cotta per me e una passione per i serial televisivi anni '70, ho provato a scappare tre volte.
La prima, il giorno dopo l'internamento, ma mi sono esplosi i punti sulla gamba e sono svenuto prima di raggiungere la porta. I punti che saltano e le labbra della ferita che si riaprono credo sia l'esperienza più vicina allo sverginamento che un uomo possa provare.
Ho ripreso conoscienza giusto in tempo per vedere il disinfettante rosato dal sangue piovere giù dalla ferita e gli occhi dell'infermiera che guardavano un po' più su della mia gamba, dove il vestitino di carta non copriva più le mie oscenità.
La seconda volta, dopo quattro giorni. Ma ho calcolato male il cambio di turno, l'infermiera con la cotta m'ha beccato, e non ha voluto sentire ragioni. Mi ha anche portato una fetta di torta quella sera. Si chiama Cindy. È un po' avanti con gli anni, ma una bella donna. Peccato fossi ancora così debole.
La terza è oggi.
Appena fuori le ho mandato un mazzo di fiori, "Be seeing you" diceva, firmato "Numero 6".

La nebbia si sta schiarendo un po', come la cordite dopo uno scontro a fuoco.
La città fredda è il campo di battaglia di dio.
Parcheggio al solito posto lungo la Georgetown Ave., scendo dall'auto, ed entro da Moe's.
"Ciao Moe"
"Max! È una settimana che non ti fai vivo! Che t'è successo?"
"È una questione un po'... tagliente... versami un Bushmills,
Liscio"
"Ah... il sangue irlandese..."
"Già, proprio quello, e me ne serve un bel po'"
Mi guarda interrogativo, ma Moe sa farsi gli affari suoi.
E me lo fa doppio.
Il mio barman di fiducia.

Tiro fuori il cellulare e compongo il numero di Leeroy.
"Leeroy, pronto"
"Ciao, sono Max"
"... Max, dov'eri finito?"
"Lunga storia... come sempre... hai letto sui giornali di Chinatown?"
"Si, certo"
"Beh, per quanto può importare: è stato lui"
"Vuoi dire che... tu hai... sei tu quello che....?"
"In realtà stavamo giocando a Zorro contro il sergente Garcia, ma lui è inciampato ed caduto proprio sulla mia spada"
"Max, non sono solito imprecare, ma... cazzo"
"Buona serata, Leeroy"

Sorseggio un po' il mio Bushmills, una volta tanto non ho fretta ma ho bisogno di raccogliere le idee. Powergenic, Petroleum, Africa, siberia e gamberetti... la testa mi scoppia. Ho ancora tutti gli incartamenti che mi gonfiano le tasche... Li hanno inventati nel medioevo, ecco perché li chiamano secoli bui...
Così ho scoperto soltanto alcune aziende che, a quanto pare, riciclano il denaro di Freddy... ma non è solo questo. C'erano degli ammanchi di denaro, frodi bancarie. E tutto coperto da introiti fantasma e dalla copertura della borsa. Ma come si fa ad ammazzare una azienda?
C'è solo un nome che mi martella in testa. Khodorkowski.
L'ho già sentito, ma credo di aver ricevuto troppe botte per ricordare quando.
Mentre continuo a sorseggiare il mio Bushmills sento picchiettarmi sulla spalla.
L'ultima volta è finita maluccio.
Mi giro. Ma è solo Jeff.
"Grand'uomo"
Biascica.
"Jeff, hai bevuto senza di me stasera?"
"No, no, non ho ancora toccato niente"
Si siede affianco a me, e alla luce del bancone gli vedo meglio il volto.
Ha un occhio nero e un bel taglio sotto ricucito alla meno peggio.
"Jeff... mi avevi promesso di smetterla con la pugilato clandestina"
"Si, si, è solo che ogni tanto... mi annoio..."
"Jeff, sei in punch-drunk, lo capisci? Hai talmente tanti capillari rotti nel cervello che le sinapsi faticano a crearsi, e quelle poche che hai muoiono prima."
È davvero desolato.
"Tieni, bevi."
Butta giù il mio whisky tutto di un sorso. Deve fargli male quel taglio sotto l'occhio.
"Ehi, Max, ti ricordi quella volta che da ragazzo ti ho portato a quella festa in montagna?"
"Già, nella baita a Silver River"
"Tu non avevi ancora la patente, e c'era quella rossa che ti piaceva, e non sapevi come arrivarci a Silver River, allora mi sono messo in macchina e t'ho accompagnato... Tuo padre voleva rompermi il culo quando lo scoprì."
Mio padre.
Sono un pessimo attore, e la mia espressione mi tradisce, sempre.
"Oh, scusa Max, non volevo... dopo la tragedia."
"Non è stata una tragedia."
"... Si, Max, come dici tu..."
Ma non voglio abbandonarmi ai brutti ricordi.
La festa.
Festa!
Ecco dove ho sentito di Khodorkowski!
Mi giro di scatto e dò un bacio a Jeff.
"Ehi, checchina, che cazzo fai?"
"Jeff, stasera offro io."
"Ecco, questa mi piace di più come dimostrazione di affetto"

Khodorkowski lo vidi ad una festa di Freddy. Era su uno yatch, poco fuori il porto, e li spiavo con un Leica 55x90. Khodorkowski era uno degli invitati, ma non l'avevo mai visto. Feci una ricerca su lui e su gli altri che non conoscevo, ma non riuscii a capire che legami c'erano tra lui e Freddy. Così abbandonai quella pista.
Khodorkowski.
Ma che nome del cazzo.

sabato 24 novembre 2007

Capitolo 3.9 Roger Dodger

Sono al numero 10 di Park Ave. e sto bussando al portoncino di legno di quercia di un edificio
impeccabilmente bianco, mi sorprendo nel farlo, non vengo quì da quasi due anni.
Il giardinetto esterno è eccezionalmente pulito e curato, quasi non faccio caso al fatto che stia piovendo copiosamente, mentre gli alberi di Park Ave. mormorano.


"Signor Blade! Che sorpresa, entri, vado subito ad avvisare Roger."
Tutty, la governante di Roger mi tratta sempre come se fossi suo nipote, è eccezionale.
Mi verso un brandy e mi apposto sulla poltrona vittoriana nel salotto lindo e accogliente di Roger.


"Max, il tuo fondo pensione ti soddisfa?"
"Mai quanto te! Guardati, cazzo mi ti scoperei anche io se non fosse che mi sento molto a mio agio con la mia sessualità. Quanto tempo hai per me?"
"Ho preso due giorni di vacanza Max, Kitty è da sua madre, il mio unico programma era andarmene a Innisfree a pisciare sul muro del College e poi a guardare il lago."
"Ok, guarda questa roba allora, io vado a dormire a casa, quando puoi fammi sapere qualcosa."
"Vai di sopra, Tutty ti sistemerà un letto, fra un paio d'ore saprai quello che ti serve."

...

"Ok Max, hai presente una pietra che rotola?"
"Sì, direi di sì."
"Ok, quà abbiamo una valanga già pronta. La Powergenic Electrics è, o meglio era, una società impegnata nella costruzione di centrali e linee energetiche. Bene, non svolge più nessuna di queste attività da un paio d'anni almeno, ma questo lo sanno tutti. Ok, cosa fa allora la Powergenic se continua a ricevere talleri? Nulla!
É una trading company energetica più o meno, guarda i bilanci! Comprano e vendono pacchetti energetici futuri, dicono di aver venduto energia alla Seafood e alla Petroleum, è vero, non si specifica però che questa energia dovrà essere consegnata sostenendo dei costi. I ricavi invece vengono contabilizzati a data odierna, e gli utili si gonfiano. Capisci?"
"Sì, fin quì ci sono, ma non è tutto quì vero?"
"Ovvio, tralasciando le problematiche relative all'auditing interno ed esterno ora arrivano i dettagli più fantasiosi: la Seafood in realtà è una semplice società di comodo, la Powergenic le vende energia e poi in realtà si impegna a ricomprarla, ma non contabilizza questa passività pompando gli utili ulteriormente, da una parte e dall'altra. Con la Petroleum il gioco è sostanzialmente lo stesso, ma non immagini chi sia a capo della Petroleum..."
A Roger, a volte piace porre questi interrogativi insolubili.
"No, infatti non lo immagino."
"Dorin Khodorkowski, il finanziatore principale della campagna elettorale del nostro amato vice-presidente, che è anche azionista di spicco della Powergenic."
"Le cose vanno alla grande allora."
"Ok fammi finire ora. Ci sono i movimenti verso i conti correnti, bene, sai a chi corrispondono quei conti? Alla Powergenic Stessa, tolgono soldi per versare soldi dirai... non esattamente, perchè dai bilanci emerge chiaramente che la Powergenic quei soldi non ce li ha! Il denaro lo intascano gli amministratori o chi per loro. E le società di revisione non dicono nulla, anche perchè sono di proprietà di Khodorkowski. E staranno zitte anche le banche finchè il titolo sale in borsa. Ultimi dettagli, la Siberian Petroleum era coinvolta in un'inchiesta sul traffico d'armi oltreoceano e la Seafood Inc. esporta soprattutto verso l'Africa, cosa esporta? I container non li ho visti ma non credo che ci mandino davvero frutti di mare e gamberetti. A che servono i soldini? Che si porta in Africa? Qualche idea immagino tu ce l'abbia, no?
Te, l'avevo detto Max, è un casino. Anche se finanziariamente divertente."
"Già Roger, è un casino, ma qualcuno dovrà pure far abbassare la musica no?"

Esco di casa, Roger mi accompagna sulla porta:
"Ci conosciamo da vent'anni Max, non devo aggiungere altro."
"Lo so, puttanella, spero ci si possa rivedere presto per andare a Innisfree, salutami Kitty."
"Le pentole te le ho regalate io comunque, ricordatelo sempre."

venerdì 23 novembre 2007

Capitolo 3.8 Blues

La luna piange
ma sarà solo pioggia
smog e viltà
all'alba di domani
nella fredda città

Due belle gambe
passeggiano su e giù
tacchi a pietà
nell'attesa di un cliente:
è una fredda città

Corre un menager
con la sua auto sportiva
in libertà
segue due belle gambe
per la fredda città

Vestiti sporchi
addosso a un ladro ricco
di povertà
saltano su un'auto ferma
sulla fredda città

"Spegni questa cazzo di musica da negri, la radio sulle volanti ce l'avete per comunicare con la centrale, non per fare i disc-jockey."
Si gira e mi guarda.
"Blade, stavo dormendo. E m'hai svegliato."
Sospira.
"Blade.
Ti sei mai chiesto perchè la merda ci fa così schifo? Non deve essere un problema di forma: altrimenti le salsiccie non le farebbero proprio in quel modo. Non deve essere nemmeno un problema di colore: se no, la cioccolata?
Non è nemmeno un problema di gusto: l'hai mai assaggiata?
E neanche un problema di odore: c'è roba che puzza molto peggio.
No, il problema della merda è l'origine.
Quello che ci ossessiona è che proviene dal nostro peloso buchetto posteriore.
Ora, io non so chi sia quella baldracca che ti ha partorito, Blade, ma di una cosa sono certo: TU, SEI STATO FIGLIATO DAL BUCO DEL CULO!!!"
Tira una pugno sul cruscotto che quasi lo spacca. Pover'uomo, ha davvero i nervi a pezzi.
"Trovano la tua macchina incidentata sulla scena di un conflitto a fuoco in pieno centro, una Mustang schiantata contro il municipio e un'altra con due cadaveri dentro AFFIANCO alla tua auto, poi mi chiami, e io corro, come un cagnolino, entro nella stanza e ti trovo lì, seduto, con le gambe accavallate, che ti fumi le sigarette che hai preso da un corpo senza testa!"
Un altro pugno.
"Bauer, non me la date una medaglia per avervi ucciso Pei?"
Mi guarda come se gli stessi violentando la nonna.
"Blade, non hai idea della voglia che avevo di lasciarti lì con gli uomini di Pei che stavano sfondando la porta. Oh, che voglia che avevo. Devi solo ringraziare che il mondo non è fatto di egoisti come te. Perché cazzo devo rischiare il posto di lavoro ogni volta che ci sei tu di mezzo, eh? E l'ho fatto solo perché non ci credevo che eri davvero riuscito a prendere Pei.
Comunque, non hai risolto un cazzo di niente: domani ci sarà qualcun'altro a prenderne il posto, hai solo mandato un'altra anima all'inferno."
Stringo sotto la giacca gli incartamenti che ho rubato dalla scrivania di Pei.
"Pei sarà anche solo un pedone. Ma i pedoni sono 8, poi il Re è nudo."

Capitolo 3.7 Studi mancati

Posso solo sperare che Bauer sia veloce e discreto ora, se non voglio prematuramente
lasciare questa valle di lacrime, anche se personalmente le mie lacrime non occupano questa valle più di tanto.

Mi guardo intorno nell'ufficio di Pei, alla ricerca di qualcosa con cui passare il tempo, tanto per dimenticarmi della testa mozza che reggevo fino a poco fa.
Mi avvicino all'unica scrivania presente nella stanza, la esamino, c'è una piccola cassetta di sicurezza nascosta sotto il ripiano principale.
Chiederò a Pei di prestarmi le chiavi.

Note, stampe, chilometri di carta con movimenti di denaro.
Un cd, e ancora carta, con numeri fitti come pidocchi sulla testa di un povero,
oggi come dieci secoli fa.
Inizio a leggere quel materiale con la stessa voglia con cui un sedicenne di Oxford
si interessa a Baudelaire.

Si tratta di importi inumani che fluiscono costantemente
dalla Seafood Inc. alla Powergenic Electrics e a questa anche dalla Siberian Petroleum, mentre dalla Powergenic i soldi sembrano uscire solo verso conti bancari non precisati per importi compresi tra i 100.000 e il 1.000.000 di dollari.
Infine alcuni fogli di bilanci societari, invenzione medievale, e poi li
chiamano secoli bui...

Avrei dovuto seguire qualche corso di analisi finanziaria all'università, ma non potevo prevedere situazioni di questo genere, altrimenti credo che avrei fatto l'erborista per finire linciato come il mio avo.

Se uscirò intero e vivo di quì credo che andrò a trovare un vecchio amico.
Intanto devo aspettare.

Due deflagrazioni... tre...
Il rotolio di calcinacci e cemento dice che un muro dell'edificio sta cedendo,
sono arrivati gli Swat.

Bauer sa sempre essere veloce e discreto.

lunedì 19 novembre 2007

Poi lo cancello

Ma volevo troppo dirvi sta cosa:
Oggi ero a lezione. Dopo tre ore di fisica nucleare e due di dispositivi, come potete immaginare, avevo letteralmente le visioni. (Roba che vedevo i diagrammi a bande del silicio che si muovevano.) E quando ho le visioni, l'unica cosa che posso fare per rimettere i piedi sulla terra è cercare la sola cosa che mi fa venire voglia di tenere i piedi sulla terra. Ovvero una ragazza. (Anche un fumetto di Recchioni, ma lì lì non ce l'avevo.)
Allora mi giro, e bruscamente torno sulla terra. Non ci sono ragazze nel mio corso di laurea. Cioè, ad indicare per "ragazza" un essere vivente con i cromosomi xx allora si, ma insomma, un po' di serietà. E comunque sarebbero 3.
E ho pensato al liceo.
Certo che ci volevano bene le ragazze in classe nostra.
Ci volevano così bene che noi le schifavamo.
E loro sopportavano, vi rendete conto?
Noi facevamo i ricchioni e loro sopportavano, ci continuavano a sorridere, e a fare sogni sconci su di noi! (Come poi abbiamo scoperto.)
Allora qui e ora voglio ringraziarle, per averci sopportato.
Ovviamente nessuna di loro lo leggerà, ma io oggi ho davvero bisogno di ringraziare quelle belle ragazze che nonostante tutto continuavano a mettere quelle scollature imbarazzanti e a truccarsi, depilarsi e a vestirsi bene. Per noi.
Devono perdonare me che, quando non ce la facevo più, mi giravo e carezzavo i polpacci a Marco.
E scrivevo sul banco: "Antonio, per piacere, mi fai un pompino?"
Devono perdonare Marco, che massaggiava il clitoride che aveva Antonio sotto i peli del mento.
Con evidente godimento di entrambi.
Devono perdonare Antonio che faceva battute sessuali su TUTTO.
"Rubinetto"
"Eeeeh... il rubinetto... eeeeh"
"Caffè"
"Eeeeh... il caffè.... eeeeh... nero..... eeehhh"
"Penna"
"EEEHHH... PENNA PENNA PENNA!!!! EEEEHH!"

Devono perdonare Mimmo... che... Mimmo... no, Mimmo faceva tutto da solo.

Vae Victis.
E tiriamo avanti.

domenica 28 ottobre 2007

Capitolo 3.6 Iaido

"Falli uscire tutti, e forse non mi farò scudo con te per poi sgozzarti sul primo marciapiede"
Pei annuisce. Chissà come fa a capire che non è un bluff. Forse è solo troppo codardo per rischiare.
I suoi uomini escono dalla stanza, ubbidienti. Vado alla porta sempre trascinandomi Pei e chiudo a chiave dall'interno. Controllo che addosso non abbia armi, e lo getto via.
Eccoci soli. Il lupo e l'agnello, anche se mai ruoli furono più ambigui.
"Allora, signor Blade, quali sono i tuoi piani?" La voce gli trema in una malcelata sicurezza.
"Semplice. Un duello."
"Ahaha! L'avevo detto che sei un uomo molto teatrale! Ma, come hai potuto vedere tu stesso, io non ho armi con me!" Il riso è isterico, non è più quella grassa risata di prima.
"A questo, si rimedia"
I miei occhi si abituano all'oscurità. Siamo in una specie di studio, probabilmente uno dei tanti luoghi che usava per gli incontri, o per sbrigare queste piccole formalità. Alla parete c'è una collezione di katane. Ne sfodero una: affilatissima.
"Non dovresti giocare con questi stuzzicadenti, sai?"
"Dammene una se hai palle, e ti ritroverai senza più un arto prima di dire soltanto "cazzo"."
Sta prendendo coraggio. Mi piace.
Ne soppeso tre o quattro, e ne scelgo una.
"Scegli"
Si avvicina alla parete, e ne sfodera una, al primo colpo. Non è tutto folklore allora.
Bene, rischio quasi di divertirmi oggi.
Mi esibisco anch'io nello Iai, l'arte dell'estrazione della spada.
Non capirò mai il cinese. Hanno il vizio di metaforizzare tutto: le discipline marziali in occidente hanno nomi espliciti, la Krav Maga israeliana: "combattimento con contatto", la Boxe, a sottolineare "la scatola" dove si combatte, la Pankration greca, "combattimento totale". In cina no: Iaido significa La via della spada, ma è traducibile anche con La via per la conoscenza dell'essere.
Via per la conoscenza dell'essere!

Mi attacca sul fianco.
Blocco con una parata verticale. Il braccio mi duole terribilmente, non mi sono ancora ripreso del tutto dal pestaggio. Sento la vibrazione della lama scendere progressivamente, non si è ancora smorzata alla base del manico che Pei si gira e prova a falciarmi sull'altro lato. Non è veloce. Ma io non sono in forma. Paro anche questo colpo, ruoto il polso e provo a disarmarlo, ma lui scarta all'indietro e subito attacca con un affondo. Si è accorto che non sono al massimo e cerca di tenermi sono pressione. Mi piego sul lato, evito l'affondo e attacco sul suo fianco scoperto, lui fa appena in tempo a rigirarsi e a parare, ma è in posizione inversa. La spada così è una leva sconveniente. Faccio pressione e lo sento gemere, scarta all'indietro ed ecco che riattacca sul fianco. Scarto io stavolta, mi rifaccio avanti, tocco con la katana l'interno della sua, faccio leva col braccio sinistro e mi faccio strada verso il suo petto. Sarebbe stato più difficile mancare un bersaglio fosforescente. Ma gli occhi mi bruciano, fatico a tenerli a fuoco. Riesce ad evitare il fendente, si abbassa di getto, si tira su, e mi ferisce all'interno del braccio destro.
Indietreggio, e valuto la ferita al braccio. Profonda.
"Il primo sangue è mio."
"Non farci l'abitudine."
Lo attacco dal basso, un fendente verticale, ma lo blocca, si gira e mi colpisce a ghigliottina sulla gamba. La ferita al braccio mi rallenta la parata. Devio la sua lama e la mia gamba resta attaccatta all'osso, ma mi fa lo stesso una bella ferita sul quadricipite destro. Non reggo più neppure il mio peso, e mi inginocchio.
"Madornale errore darmi un'arma, eh signor Blade? E pensa, non ho niente da fare per tutto il fottuto giorno. Oltre a torturarti, ovviamente." Ride, il bastardo.
Ora.
Poggio la punta della lama a terra e faccio leva come fosse una stampella, tiro su la gamba integra e lo colpisco con tutte le mie forze nelle coste inferiori. Sento le ossa cedere sotto lo scarpone. Forse gli ho spaccato anche il fegato.
Non c'è un solo muscolo del corpo che non urli dal dolore, ma riesco a parlare.
"Madornale errore abbassare la guardia, Pei."
Sputa sangue e si accascia in ginocchio, sollevo la katana e gliela spingo in gola, ruoto il polso e sento la vertebre cervicali cedere per la pressione. Lo afferro per i capelli e gli stacco la testa di netto. Gli organi della testa cedono verso l'interno.
"Cazzo, Pei".
C'è poco da scherzare, lì fuori c'è la sua guardia personale con quegli Uzi da 600 colpi al minuto.
E io sono disarmato. E ferito gravemente.
Butto via la testa, tasto il corpo di Pei, e trovo il suo telefono cellulare. Preferisco quasi morire dissanguato che chiamare Bauer e convincerlo a portare qui una squadra di swat.
Quasi.

Capitolo 3.5 Carte di credito

Pei fuma, apre una finestra e guarda fuori... nella nebbia, che è scesa ancora una volta a nascondere le vergogne di questa città.

"Ah, Cara Barol, o Charlotte Harmon... lei è solo un piccolo dettaglio, neanche il più importante.
Forse poteva esserlo per me, forse per te."
"Non credo che per noi abbiano importanza le stesse cose, uomo."
"Ah ah ah! Maledetti coglioni irlandesi... sempre con il vostro orgoglio pronto a esplodere."

Fa un cenno.
Mi arriva un pugno nello stomaco...

"Tu non sai nulla di me Pei, e non potresti capire comunque. E tu, non toccarmi un'altra volta, o sarai morto prima di riuscire a ridere!"
"Ti risparmio un altro pugno per ora signor Blade... So essere così generoso a volte. Come lo ero stato con Cara. Lei era la mia preferita, non sapevo facesse un altro mestiere, ma sai signor Blade, al di là delle tue opinioni personali, io conosco ogni cosa."
"Che bello, conosco l'Onnisciente."

Un cenno, un pugno...

A vuoto,
mi alzo, si vede che non hanno frequentato la marina, nodi da ragazzini,
spacco la sedia sulla schiena del gorilla e gli schiaccio il setto nasale nel cervello con una testata.
Avrebbero potuto ammazzarmi in qualunque momento, ma sapevo che Pei mi avrebbe voluto vivo per qualche altro minuto. Idiota megalomane.
Ride.

"Ah ah ah, signor Blade tu sei estremamente divertente. Ora però vorrei finire. Il problema di Cara non era il suo incarico per l'MI6, ma mi aveva visto mentre dormivo. Era ovvio che dovesse morire. Questo è il primo motivo. Il secondo è che aveva decifrato i nostri codici per comunicare date e ore di partenza e arrivo dei carichi di armi da una parte e droga dall'altra, ma non aveva avuto il tempo di comunicarli a quel vecchio idiota di suo padre. Cose molto importanti succederanno tra poco, e io potrò iniziare a espandere il mio impero su tutto il tuo paese. Ecco il secondo motivo per cui doveva morire, sai signor Blade, io non avrei voluto, avrei preferito drogarla e renderla un vegetale, ma il mio amico Freddy ha più cuore di me."

Ci sono tre cinesi armati di uzi intorno a me, e Pei è abbastanza lontano da non poter essere strangolato.

"Ora morirai anche tu signor Blade, mi sei simpatico, ma sei un cane bianco, e anche onesto, sei inutile. Ma ti concedo un ultimo desiderio, ti ho già detto che so essere molto generoso."

Prendo dal portafogli una carta di credito e una foto:
"Prendile e falle portare alla bettola di Moe."
Pei fa avvicinare un suo uomo.
"Ho detto a te, Pei."
Viene.
"Ah signor Blade, tu sei veramente molto teatrale."
É a venti centimetri da me, gli afferro il polso, torco il suo avanbraccio e mi copro con il suo corpo. Gli ficco la carta di credito nella gola, non sapeva che ha una lama sul bordo.
"Non voglio nulla da te, Pei. Solo la tua vita, ma voglio prendermela strappandola di persona, io e te, soli, come lo siamo in questo mondo."

giovedì 25 ottobre 2007

Capitolo 3.4 Errore

In una situazione normale mi sarei travestito da idraulico e avrei girato un po' nell'albergo fino a trovare i gorilla fuori dalla stanza di Pei.
O lo avrei aspettato nella hall, in modo da avere più tempo per elaborare una strategia.
Ma due mustang distrutte e due cadaveri dentro una delle due, non rendono questa una situazione propriamente "normale". Uno dei due cadaveri praticamente non ha più la testa.
La gente sta scappando via per riversarsi nelle strade laterali. Anche dall'albergo stanno scappando via, il che mi fa pensare che qualcuno lì dentro ha cacciato fuori i ferri. C'è persino una vecchietta che corre, col suo bastone anatomico. Il tragico e il comico si inseguono continuamente.
Ma Pei , è ancora in quel cazzo di Petite Relais. Deve avere un esercito lì dentro per non scappare via neanche dopo un conflitto a fuoco a 200 metri da lì. E io ho pochissimo tempo.
Apro il bagagliaio della Ill Niño. Il paraurti posteriore è in condizioni pietose. Il tipo che ha fatto questo è fortunato a non avere più una testa.
Prendo un po' di attrezzi del mestiere che mi porto sempre dietro.
Sapete com'è: se cacciate tordi, vi serviranno dei segugi, un fucile calibro 12 e cartucce da 30 grammi di pallini di piombo al nickel-rame.
Se cacciate uomini, vi ci vogliono flash-bomb o granate al fosforo bianco, un fucile mitragliatore con caricatore bifilare modificato e una buona dose di follia.
Pronto.

Tiro una flash-bomb nella hall del Petite Relais. Alluminio e permanganato di potassio, solo rumore e luce, niente di letale.
Al lampo segue il tuono, entro col fucile spianato, selettore su "Full Automatic": questo si che è letale.
Nessuno.
Proprio nessuno.
Sparo qualche colpo di copertura e mi lancio su per le scale, ma neanche qui c'è nessuno.
Inizio a salire le gradinate, le suite sono sempre ai piani più alti.
Al quarto piano vedo una porta aperta, ma neppure un uomo di guardia. Avanzo fino alla stanza e butto dentro un'altra flash-bomb. Entro dentro, ma non c'è nessuno neppure lì.
Mi sembra di essere in un film surreale, quando noto la finestra aperta. Guardo di fuori e vedo un cinese sul tetto dell'edificio di fronte che mi alza il dito medio. Non faccio in tempo a capire che cosa sta succedendo che un botta dietro la testa mi fa perdere i sensi.
Faccio solo in tempo a pensare: "Idiota".

Mi risveglio con un pugno, legato ad una sedia, in una stanza buia. Ho il sapore di sangue in bocca, devo essere stato pestato, ma non ricordo niente. Ho un mal di testa di proporzioni escatologiche e quando provo ad aprire di più gli occhi vedo soltanto cerchi colorati.
"Finalmente" dice una voce
"Ho ragione di credere che mi stavi cercando. In genere ti avrei tagliato la gola e ti avrei buttato in pasto ai pescecani, ma non mi sembri un sicario. Neppure il più stupido dei sicari avrebbe fatto il casino che hai combinato tu, perciò ti concedo altri tre minuti di vita."
Cerco di respirare a pieni polmoni per recuperare un po' di lucidità, e qualcuno mi butta un po' d'acqua in faccia.
Sono chissà dove, ferito, legato, e circondato dagli uomini di Pei. Perfetto.
Riesco a biascicare solo poche parole.
"Cara Barol. Voglio sapere perchè l'hai fatta uccidere."

sabato 20 ottobre 2007

Capitolo 3.3 Divertimenti notturni

Seguo i miei casuali amici orientali tra le vie centrali della città fredda, una delle poche zone della città in cui i lampioni funzionano ancora, illuminando la statua di Gregor Coffin, colui che posò la prima pietra del primo edificio di questa città. Un trading post ovviamente.

Il mio discreto pedinamento prosegue fino all'Hotel Petit Relais, alle spalle di Virginia Sq. dove quello che un tempo era il municipio cittadino è sovrastato da oscuri palazzi di vetro.
Proseguo per circa trecento metri per parcheggiare dove non parcheggerebbe un Blade, quando la mia Ill Nino viene spinta in avanti da una forza non impressale dal suo apparato meccanico.
Qualche bastardo mi ha tamponato.

Avrei dovuto capire che sarebbe stata una serata movimentata quando due mustang nere si erano accodate alla mia Ill Nino, il problema è che noi Blade amiamo il movimento.

Una delle mustang mi si affianca mentre l'altra cerca di tamponarmi di nuovo.

Non sopporto quelli che non svolgono il proprio dovere con coscienza, soprattutto se di mestiere fanno i gorilla. L'inesperto autista della mustang al mio fianco ha commesso un grosso sbaglio quando nel tentativo di superarmi per tagliarmi la strada perde aderenza sulle foglie marce che ricoprono l'asfalto, gli altri ospiti del veicolo non hanno la stabilità sufficiente per mirare.

Io sì, prendo il fucile a pompa che porto sotto il sedile passeggero della Ill Nino e sparo due colpi verso la fiancata alta della mustang. É difficile che la macchina abbia ancora un pilota, il fucile è caricato a pallettoni...
É una fortuna che non abbia preso l'utilitaria.

Nove secondi e si schianta contro la facciata del Rigby's Theater... un gran botto...

Inchiodo, la seconda mustang sterza all'ultimo momento per non venirmi addosso rovinosamente, ma Collins Street è un imbuto e non possono beccarne l'uscita a quella velocità, sbattono contro il colonnato del mercato coperto, pregevole costruzione ottocentesca.

Escono in due soltanto, e scappano...
Bauer non dovrebbe fare troppe storie questa volta. Andrò a farci due chiacchiere magari,
prima però voglio conoscere il gestore del Petit Relais.

martedì 16 ottobre 2007

Capitolo 3.2 Il Manicomio

Il sedile della Ill Niño mi accarezza dolcemente nell'inerzia dell'accelerazione. Spingere la leva del cambio è palpare la gamba di una bella donna, la vibrazione dell'asse i suoi fremiti, la benzina nel carburatore la mia eiaculazione, il motore che entra in coppia il suo orgasmo ululato.
Ma non è il momento di gustarsi i piccoli piaceri della strada.
È tempo di caccia.

Arrivo al Manicomio.
Ogni volta che mi fermo qui davanti un brivido mi percorre tutto il corpo. Nel cuore della città il suo cancro più grande: un edificio tirato su con ossa per mattoni e sangue e droga come calce. È qui che finirà tutto, le macerie di questo edificio saranno la mia lapide, presto o tardi. Di tutto questo non resterà in piedi neppure un pilastro, l'ho giurato.
"Il Manicomio", come lo soprannominano in città, la roccaforte del pazzo, il castello di Freddy.
Ho passato mesi a studiare un piano di attacco, ma lì dentro c'è un esercito. Non c'è possibilità nè di entrare nè di uscire. Freddy è sempre barricato dietro vetri blindati, e quando esce è insieme ad altre 4 finte auto con i vetri scuri e una scorta da fare invidia al papa. A meno di fare una strage, è intoccabile. E una regola che mi sono sempre imposto in questa guerra è: niente innocenti.
Sapete com'è, è una cosa personale.

Mi aspetta una lunga attesa. Trovai parcheggio in modo da vedere l'uscita e accesi la radio:
...e gli Hawks battono i Sunset di due misure, ma passiamo alla politica...
...ed erano i Last Tears col loro ultimo successo...
...l'anticiclone si fa attendere anche quest'anno perciò il brutto tempo...
...Sunday bloody sunday..
Ecco, rimaniamo in tema.

... Non posso crederci. Gente della triade che esce dal palazzo di Freddy.
Devo seguirli. Se Freddy si barrica in casa, alcuni dei suoi generali invece preferiscono spostarsi continuamente. Anni prima Chang Pei era riuscito nell'impossibile, aveva riunito le dodici famiglie delle triadi. Un atto coraggioso, con tutti quelli che ci guadagnavano dalla situazione di lotta perenne. Si dice di Pei che non resti mai per più di due ore nello stesso posto e che non dorma mai due notti nello stesso letto. Ma se gente della triade viene fin qui a parlare con Freddy, è a Pei che andranno a riferire.
Rimetto in moto, ho sbagliato a non uscire con l'utilitaria, la Ill Niño è molto più vistosa, ma non sospettavo di finire la serata con un pedinamento. Meglio mettere un paio di macchine tra me e loro, e usare un po' più d'attenzione del solito.
Ci passo davanti, e saluto il Manicomio.
Per il momento.

lunedì 15 ottobre 2007

Capitolo 3.1 Presenze

Questa città sta marcendo, e non per via della nebbia o dell'umidità... Il freddo dovrebbe tenere i batteri in condizioni di non nuocere. Muffe verdi tuttavia si allargano sui quartieri, lentamente,
costantemente, facilmente.

Ho bisogno di pensare, ma questa volta ho bisogno di aiuto per farlo. Prendo la Georgetown Ave., umida e scivolosa come tutto il resto stasera. Respiro il freddo e minuscole gocce di acqua mentre cammino per dieci minuti senza incontrare la parvenza di un'anima con il corpo annesso.

Arrivo da Moe's alle dieci circa, non c'è un anima nel locale, nel senso che neanche i fantasmi frequentano più questo posto, a parte me ovviamente, e Moe che lo tiene aperto. Non di sera almeno.

"Max, puzzi di alcool."
"Non ho ancora toccato nulla vecchio..."
"Appunto Max, io vedo che il tuo spirito puzza di alcool... Buona questa...
Il tuo spirito puzza di alcool... E comunque puzzerai quando uscirai di quì, no?"
"Se puzzerò è perchè non apri mai le finestre. Dammi un Bushmills, doppio."
"Ah il sangue irlandese..."

Tiro giù quattro whiskey di fila... inizio a sentirmi meglio, mentre Moe continua a parlare
di quando pescava tonni nel Mare del Nord.

"Hai capito Max? Un brigantino intero, mio nonno aveva trovato un intero brigantino arenato
in un buco sulle Orcadi..."
"Moe da dove devo partire per cercarlo?"
"Il brigantino? Nel posto più ovvio, quello dove andresti comunque, sulla costa sud orientale, infatti non capisco come abbia fatto quell'asino di mio nonno a trovarlo."
"Sì Moe hai ragione... Ci vediamo."
"Andrai a cercarlo Max?"

Esco nella mia cara putrescente città, le cose sono più semplici ora...
Ora so dove andare a cercare...
A casa di Freddy il Pazzo, in fondo mi mancava quel bastardo.

lunedì 8 ottobre 2007

Capitolo 3 - Ronin

La nebbia non accenna a diminuire. I fendinebbia della mia Ill Nino faticano a mostrarmi quel poco di città che c'è lì fuori.
Non che mi perda molto.
E comunque, "niente è più visibile di ciò che è nascosto".

L'atmosfera mi riporta alla mente tutti i miei allenamenti di arti marziali, i miei vecchi maestri, e i loro insegnamenti. Non c'è niente di peggio che una notte nebbiosa per un lamentone attaccato ai suoi pochi bei ricordi. Ma ad essere sincero, del confucianesimo sapevo poco. Tutti sapevano poco, dato le persecuzioni che ricevettero i praticanti.

Nonostante non fosse l'orario per le visite, decisi di recarmi ugualmente al tempio confuciano: non conoscevo Fang Wei, ma non era certo il momento di badare al bonton.
Con me non lo è mai, a dirla tutta.
Il tempio spicca come un neo su un culo. È uno dei pochi posti che non è ancora stato comprato e abbattuto a favore dell'edilizia urbana. "Il rispetto per gli antichi è un valore borghese" diceva Mao. Parcheggio l'auto lì vicino e oltrepasso le colonne rosse del cancello. Due guardie del corpo in miniatura mi si avvicinano. In un normale corpo a corpo avrei potuto spaccargli la testa una contro l'altra, ma pensai la stessa cosa la prima volta che vidi il mio maestro di aikido. Vi lascio immaginare quante ne presi.
"Cosa vuole"
"Fang Wei"
"Il Maestro è occupato"
"Certo, è occupato per me"
"Meno spiritoso, e gira il culo"
Mi immagino già la scena: estraggo la pistola spaccando col calcio dell'arma il naso al primo, prendo per i capelli il secondo, gli ficco la pistola in bocca spaccandogli tutti i denti e gli sparo dentro, la tiro fuori e mentre il fumo non è ancora cominciato ad uscirgli dalla cavità orale sparo in mezzo agli occhi anche a quello col naso rotto.
"Devo parlargli, è importante"
Stanno per aprire di nuovo bocca, quando sento una voce dire qualcosa in cinese e le guardie si dileguano.
"Venga, ospite"
Entro nelle stanze. Il maestro si sta avvicinando ad un tavolino al centro della stanza, ma si volta, mi fa un inchino e si siede. Fa segno di sedere anche a me. Butto l'occhio sul tavolo, ad occhio e croce stava componendo delle opere calligrafiche.
"Questo è un luogo di pace, ospite, lascia lì le tue inutili armi"
Tolsi il cannone dalla fondina e lo lasciai sulla porta.
"Mi chiamo Max Blade, e sono un amico di Cara"
Finalmente l'uomo mi guarda con interesse, muovendo la testa con un gesto che trasuda chi, la cosiddetta energia vitale.
Mi sedetti. La prova cominciava.
"E cosa ti porta qui?"
"È il mio do, la mia strada"
"E cosa c'è alla fine della sua strada, ospite?"
"Sono qui per scoprirlo"
Rise come un bambino
"Ingenui, potete anche studiare le nostre arti, ma non sarete mai davvero come noi"
Sapevo a cosa faceva riferimento.
Quando combattete contro un uomo addestrato, lui sa che non deve avere paura, perchè la paura è la vera nemica.
Quando combattete contro un orientale, lui non ha paura.
"Maestro, sono diventato un ronin, un samurai senza padrone, perchè il mio padrone è morto, e trovare i colpevoli è l'unico modo per riscattarmi"
"Non ci sono modi per riscattare un ronin, tranne il seppoku"
"Il suicidio è inutile. È solo un punto in più per l'altra squadra. Non era solo il mio padrone, Cara era mia amica, e probabilmente anche sua. È la giustizia la guida della mia coscienza."
Mi guardò attraverso, come per leggermi dentro. Si accarezzo la barba, per un attimo la sua espressione perse quell'aria di sicurezza che aveva.
"Mi dimostri di essere un junzi, un uomo benevolo, ronin. Ma devi fare di più. Ora pensaci bene, guarda a fondo dentro di te e rispondimi: cosa c'è alla fine della tua strada?"
"Alla fine della mia strada c'è la morte, maestro"
Il vecchio chiuse gli occhi, e si tirò leggermente all'indietro.
"Il messaggero che nulla ha inventato ci ha insegnato il ren, l'armonia con gli altri, e la verità. Ma la verità, ronin, è che le cose sono molto più complicate di quello che tu pensi. Cara è rimasta incastrata in qualcosa più grande di lei. Dimentica la tua missione, e trova un nuovo signore"
"Forse qualcuno dimenticherà, ma non io. La mia volontà non vacilla, ma è lei che mi deve illuminare sulle volontà del cielo."
Il Maestro si accarezza di nuovo la barba. Ha delle labbra strette e il volto un po' smagrito, ma quello che più mette in soggezione sono i suoi occhi vitrei.
"La tua volontà è davvero rigida come dici, lo avverto. Se anche io non parlassi, tu arriveresti lo stesso alla verità. Io non amo quello che succede nel quartiere, per questo aiutai Charlotte e gli altri tempo fa. Cara lavorava per Chang Pei, l'uomo di chinatown. Il traffico principale qui è la droga, ma Pei non è soltanto il capo delle triadi, i suoi legami sono molto più ampi e si estendono per tutta questa città fredda. Ma queste cose tu le sai già, non leggo sorpresa sul tuo volto."
È vero, in realtà sospettavo che l'MI6 fosse implicato in un giro di queste dimensioni. Ma la cosa bella, è che non provo qualcosa di neppure lontanamente vicino alla paura. Sono Davide con la mia fiondina del cazzo che sconfiggerà Golia.
O, male che vada, sono una mosca sotto un picchietto, che lascierà una lunga scia di sangue su di un muro.
La verità, è che non me ne frega niente. E comunque, ora i miei orizzonti si sono di nuovo allargati. Non avevo idea di dove cercare Pei, nè di cosa avrei fatto quando l'avrei trovato, ma non sono uno che si pone troppe domande. Il segreto è agire più in fretta dei propri pensieri.
"Cerca di essere all'altezza del tuo compito"
"Io ci provo sempre"

sabato 6 ottobre 2007

Capitolo 2.7 Nebbia nel parco

Ormai pensavo di aver imparato qualcosa da questo mestiere, cazzo.
Ad esempio, credevo di aver imparato ad aspettare, non è così. I tempi delle indagini,
la diligenza e la costanza negli appostamenti, attendere i rumori vaghi nell'aria e catturarli,
ore di ricerche per frammenti di verità. Credevo di avere imparato tutto questo.
Credevo male.
Ventisette ore e ancora nessuna notizia di JH 01.

Il nulla...

...

19:37 una chiamata di Leroy: "Maximilian, Mist Parc, fra dodici minuti."
Ne bastano otto.

...

Turbinano le foglie secche nel parco, la nebbia invece è immobile. Attraverso il
vialetto ghiaioso dell'ingresso e aspetto. Presso una panchina alla mia destra tre tipi vestiti in nero parlano concitatamente. Non sembra una conversazione amichevole.
Partono due pugni e un calcio verso uno dei tre, un gemito, si accascia.
Non è una conversazione amichevole...

Se l'esperienza di mio nonno a Chicago mi avesse insegnato qualcosa resterei quì a guardare,
ma noi Blade non impariamo dall'esperienza.

Corro verso i due picchiatori e tiro un gancio nello stomaco del primo, poi estraggo e punto la
pistola sul secondo. Nessuna parola, il picchiatore corre a fendere la nebbia, seguito subito,
per quanto possa permetterlo uno stomaco dolorante dal suo socio.

Mi avvicino al malcapitato, lo aiuto a rialzarsi, questi si pulisce del fango e dice:

"Grazie Maximilian, Leroy aveva ragione, arrivi sempre al momento opportuno. Sono JH 01,
puoi chiamarmi Adam se ti piace. Grazie per avermi tolto di dosso quei due, pretendevano che gli restituissi gli spiccioli che gli ho spillato a poker."
"Ok Adam, senti sono talmente felice di conoscerti che non ho neanche voglia di farti domande.
Quindi dimmi quello che devo sapere e fallo in fretta."
"Mi avevano sempre detto che fuori dell'Europa le buone maniere non sono molto praticate. Comunque: ascolta, le risposte che cerchi sono a Chinatown, rivolgiti a Fang Wei, lo troverai al tempietto confuciano rosso, di sicuro.
Ricorda solo questo: Charlotte era pulita!"

Non lo guardai neanche, mi girai e andai via.

"Charlotte è morta..."

sabato 29 settembre 2007

Capitolo 2.6 - Sulla collina

Gli angeli sono brezza... che gonfia le vele dei nostri alberi maestri letti vuoti che ricordano amori, passati pagine che mancano alla fine di un bel romanzo fantasmi di questo gioco, senza regole, che è la vita. Io, che credevo di aver pianto tutte le mie lacrime e sputato via la mia anima, sono ancora qui a stringere pugni e denti contro una lapide di granito, dietro la quale non c'è niente o almeno niente che possa capire. E allora che senso ha tutto questo? Perchè ora sono qui ad implorarti, chiunque tu sia, di accettarla lì con te, io, che per anni ho urlato la mia rabbia alla luce dei lampioni, perchè non avevo un dio un po' più in alto? Io, che sono stato picchiato, bruciato, bastonato, rinchiuso, ma che ho sempre continuato a ridere, perchè se la vita è un circo, io sono il suo più grande clown. Io, ora, qui, su questa collina non riesco a trovare le parole per consolare un vecchio padre, né per chiedere perdono a dio, a dio, che è il suo mestiere perdonare. La mia legge è quella terrena, la legge scritta sulla polvere, la legge scritta con le lacrime e il sudore. La mia legge è quella dell'umana sofferenza, che non prevede la morte dei buoni, e quando questo succede, posso solo portare dei fiori su un pezzo di pietra, e provare a trovare dei responsabili in tutto questo, pur sapendo bene che la vigliaccheria, l'omertà, l'egoismo sono dei complimenti in confronto a quello che potremmo dire della razza umana tutta. Mi viene soltanto in mente una vecchia canzone che diceva pressapoco così:

"Dio di misericordia
il tuo bel paradiso
l'hai fatto soprattutto
per chi non ha sorriso.
Per quelli che han vissuto
con la coscienza pura
l'inferno esiste solo
per chi ne ha paura."

Peccato, credevo di aver trovato anch'io un posto nel progetto divino.

Alla fine del funerale accompagno Leroy a casa.
"Leroy, Cara ha lasciato un messaggio in una casella vocale e ha dato a me il numero. Diceva di aver lasciato dei documenti ad un certo O'Connor, ma qualcuno è arrivato prima di me. A quanto pare però O'Connor non ha parlato."
"Voglio ascoltarlo"
Gli do il numero e lo compone sul suo cellulare. Ascoltare la voce della figlia deve fargli un certo effetto perchè resta per qualche secondo in silenzio.
"Il SIS lavora con nuclei estremamente decentralizzati. Io stesso ho solo una vaga idea di tutto quello che sapeva Cara. L'agente speciale JH 01, quello che ha dato i fascicoli a Cara, era il terzo infiltrato nell'organizzazione. Dobbiamo sperare che ha avuto più fortuna di Cara ed è riuscito a scappare. Devo contattare i miei superiori per sapere se ha dato sue notizie, oppure è ancora nascosto in città, nel qual caso andiamo a lasciargli un messaggio".
Così mi guida per la città fredda, fino ad un appartamento. Facciamo due giri dell'isolato, ma sembra tutto tranquillo. Così scrive dei numeri su un pezzo di carta e glielo lascia nella cassetta della posta.
"E ora, vediamo che succede"

giovedì 27 settembre 2007

Capitolo 2.5 Un gentiluomo

Rientro in città e ricomincia a piovere.

Forse non sono più il benvenuto, o forse è un segno divino: dovrò ripulire le strade come fa la pioggia.

Prendo la Harbour Ave. e passando tra filari di alberi tristi arrivo in Market Square. Due bulldozer fanno bella mostra di sè mentre un paio di grattacieli iniziano ad alzarsi svogliati e sonnacchiosi.

Una volta c'erano infiniti piccoli bookshop polverosi, come quello del vecchio Jeremiah Hazelnut, e i carretti dei venditori di frutta... Non è rimasto più nulla, i vermi e i topi di città hanno mangiato quel mondo di legno e carta. E sono ingrassati.

Lincoln Street è appena dietro Market Square.
Basta imboccarla per sentire il profumo della libertà. É una parte di città del tutto incongruente con il resto, con tutte le sue piccole ordinate villette, la chiesa a metà della via e degli olmi incredibilmente vivi. Ci abitano in pochi ormai...

Arrivo al 215, nel giardino un bracchetto dorme e non si degna di aprire un occhio per guardare il sottoscritto. Non c'è campanello, busso con il batacchio a forma di leone...

Attendo un paio di minuti, sto per bussare di nuovo quando la porta si apre: in un perfetto abito di tweed verde scuro con camicia bianca e cravatta marrone, la pipa in mano appare un anziano signore di circa un metro e novanta con i capelli bianchi assolutamente in ordine. Sorride.

"Il signor Leroy Harmon?"
"Sir Leroy Harmon giovanotto, in persona, ma non si preoccupi, il mio titolo non ha valore quì."
"Mi dispiace arrivare senza preavviso ma sa..."
"Non si preoccupi, un detective non è mai in ritardo o in anticipo, arriva quando è il momento di arrivare." Si incupisce: "Devo immaginare allora che ci abbia lasciati..."
Questa volta davvero non ho la battuta pronta, il vecchio pensa troppo velocemente.

"Ma la prego venga a prendere un té."

Nel salotto oltre al pendolo, alla Union Jack, alla libreria con circa duecento volumi e alle poltrone intorno al camino acceso non c'è altro. Nobile sobrietà.

"Sa signor..."
"Blade, Maximilian Blade."
"Vede signor Blade, non ricevo visite da circa dieci anni, nè telefonate da mia figlia da quasi tre mesi. Prima di perdere i contatti, mi disse che un giorno se le fosse capitato qualcosa, avrebbe mandato qualcuno ad avvisarmi. Quindi le chiedo: come sta Cara Barol?"

Merda! Avrei voluto fare di tutto ma non il latore di messaggi funebri.

...

Non so come ma l'ho fatto, ora il vecchio sa tutto.
"Vede signor Blade, non piangerò sulla sua spalla non si preoccupi. Conosco il mestiere di mia figlia.
Lo conosco perchè fui io a inserirla nell' MI6."
"Quindi anche lei..."
"Sì, io sono il referente quì. Tengo i contatti con la vostra Agenzia.
Se mia figlia l'ha mandata quì evidentemente si fidava di lei. E lo farò anch'io: Charlotte, mia figlia, seguiva in realtà le vicende del traffico d'armi tra il vostro paese e alcuni dittatori africani, questi traffici vengono coperti e finanziati con quelli, penalmente meno rischiosi, della droga. Le aziende cinesi hanno deciso di appropriarsi di mercati e risorse di quel continente sventurato, e hanno commissioni milionarie con governi poco credibili dal punto di vista della democrazia, cui giungono, ovviamente, armi. Le armi sono fornite, paradossalmente, dal vostro paese, ovviamente in maniera clandestina, dai boss che gestiscono la droga importata direttamente dalla Cina."

Freddy...

"La geopolitica non mi interessa molto, se non ci fossero i cinesi ci saremmo noi a depredare l'Africa. Voglio solo trovare i mandanti dell'omicidio di sua figlia. La mia coscienza ne ha bisogno."
"L'aiuterò, poi avrò il resto della mia vita per maledirmi e chiedere perdono a Dio."

martedì 25 settembre 2007

Capitolo 2.4 - O'Connor

Ho uno strano presentimento. Come l'elettrostatica nell'aria, prima della tempesta. Probabilmente sono solo paranoico, ma per mettere a tacere quella vocina del cazzo, mentre la mia Ill Nino mi porta verso Muddy Creek, compongo il numero di O'Connor.
Fuori posto.
Gas.

Arrivo, ma ci sono delle volanti della polizia che bloccano la strada. Giro e parcheggio in una traversa. Scendo dalla macchina, ma non faccio in tempo a chiudere l'auto che mi sento bussare sulla spalla.
Mi giro, da persona educata, e mi becco un pugno in pieno volto.
Il tempo di mettere a fuoco l'immagine, e riconosco quel bastardo di Bauer.
"Questo è per quell'ambientale"
"Quale ambientale?"
"Blade, il giorno che ti becco ti chiudo in gabbia, getto via la chiave e per festeggiare me ne vado a puttane d'alto borgo. E ora dimmi cosa cazzo ci fai qui"
"L'hanno già ucciso O'Connor?"
"Che il diavolo ti porti Blade, potrei arrestarti per occultamento di prove"
"Ma poi nessuno ti direbbe come faccio a sapere di O'Connor"
"Giusto"
"Allora facciamo un patto: tu mi fai vedere la scena da O'Connor e io ti dico quello che so"
"Facciamo invece che io non ti arresto per il microfono e tu mi dici tutto quello che sai"
E si. M'ha proprio fregato.
"...e va bene... Cara Barol mi ha lasciato un numero di una casella vocale, in Colombia, dove diceva di aver lasciato dei documenti a questo O'Connor. In che condizioni era la casa?"
"Blade, qualunque cosa stessero cercando, di certo O'Connor non gliel'ha data: l'hanno torturato a morte, gli hanno staccato qualunque cosa si possa staccare da un corpo umano. L'appartamento era completamente distrutto: hanno persino spaccato le tracce dei cavi della corrente nel muro. Ci ha chiamato quella pettegola della portinaia, dopo aver sentito tutto quel casino. La Cia mi ha tolto il caso non appena abbiamo diffuso le generalità di Cara Barol, e probabilmente mi toglierà anche questo di O'Connor. È solo per questo che ti sto dicendo queste cose e non ti prendo a calci nel culo. Mi sono rotto di fare solo il pulisci scarpe a quelli dell'agenzia centrale e ai federali. E se vuoi un consiglio, lascia perdere anche tu."
Per la prima volta in tutta la mia vita, mi dispiacqui davvero di essermi fatto la moglie di Bauer.

E così sono di nuovo sulla strada, con la mascella un po' più dolente di prima.
L'edificio ha le scale anti-incendio esterne: se voglio dare un'occhiata in casa O'Connor mi serve un mandato dei federali, oppure un buon piede di porco, e qualche ora per aspettare che il sole vada ad illuminare posti migliori.
E, guarda caso, ho proprio un'altra persona da andare a trovare.
Spero davvero di non seguire soltanto una scia di sangue.

lunedì 24 settembre 2007

Capitolo 2.3 Visite

É domenica.
Mi sveglio di pessimo umore, ho dormito poco e male, il tiro a segno mi ha rilassato, ma ormai il compito di solitario guerriero mi sta logorando, o forse con l'età inizio a provare dubbi su ciò che ho ritenuto fosse morale per molto tempo. É possibile che stia inconsciamente preparandomi alla resa dei conti spirituale. La spiegazione che preferisco, tuttavia, è che dovrei smetterla di dormire tre ore per notte e dimenticare di riempire il frigo... credo che il frigo vuoto sia una delle cause peggiori di depressione per il sottoscritto.

É ancora presto, le strade sono vuote, il tempo è più avaro di sole che il presidente della Fed di dichiarazioni comprensibili. La domenica non si lavora, e la gente normale resta con la famiglia.
Andrò anch'io a far visita a un pezzo di famiglia: Jeff Buckley, archivista del Sistema Medico nazionale.

Arrivo in sede verso le undici, il cielo è coperto e sta calando una leggera nebbia, anche il vento ha iniziato a soffiare, non basterebbe un monsone a portare via il puzzo dall'edificio in cui lavora Jeff. Lo trovo barricato nel suo ufficio, come ogni giorno, di ogni settimana, Jeff non prende mai le ferie, Jeff non resta a casa più di otto ore al giorno, Jeff non si ammala mai, lui dice che per via del suo lavoro i microbi e i batteri lo rispettano. In realtà Jeff a soli 63 anni è completamente suonato da almeno trent'anni, papà diceva che era per il suo hobby, il pugilato clandestino.

Entro e gli piazzo le sue ciambelle domenicali al cacao sotto il naso, poi stappo i due cafféllatte e gli chiedo le quotazioni dei Sunset contro gli Hawks. Jeff mi guarda, ride, elimina due ciambelle in venti secondi circa e poi mi chiede:
"Che nome e numero ti servono?"
Maledetti matti, sono davvero la bocca della verità, ho sempre pensato che Shakespeare dicesse conse sensate.
"John O'Connor, 00470076, quanto tempo ti ci vuole?"
"Tempo, che parolone... non ho bisogno di tempo, il tempo ha bisogno di me, altrimenti non ci sarebbe. Ci hai mai pensato Max? Il tempo non ci sarebbe... devo ricordarmi di dirlo a padre O'Hara stasera in chiesa."

Tre minuti, ed ecco la risposta:
"John O'Connor, sei fortunato Max, è vicino... Muddy Creek, Stash St. 46, numero di telefono 0715678976, conosco il posto, quindici miglia dai sobborghi ovest. Ho fatto il commesso per un po' laggiù, bei tempi Max..."
"Certo Jeff, hai ragione. Ci vediamo domenica prossima Jeff, riguardati mi raccomando."

Imbocco l'uscita e in due minuti sono in strada, il vento si è fatto più impetuoso e cade qualche goccia di pioggia.
"Max!"
É Jeff alla finestra...
"I Sunset sono dati 2 a 1, ma io ti direi di giocare sugli Hawks, la quotazione è 5 a 1, ma il mestiere dei bookmaker è rubar soldi ai polli."
Rientra dentro e chiude la finestra.
Credo che un giorno gli darò retta.
Non oggi però, ho una visita da fare.

domenica 23 settembre 2007

Capitolo 2.2 Un po' più giù

Inutile. Ho bisogno di un po' di tiro al bersaglio per prendere sonno.
Prendo in spalla il mio Winchester 70 Stealth, un pacco di 51mm, e salgo in macchina.

Il porto della città fredda è il principale posto di smistamento dell'eroina di Freddy il pazzo. Funziona così: ragazzini che devono mantenere la loro famiglia, o in astinenza, vengono convinti a stare lì tra i capannoni sulla via del porto ad aspettare i tossici, con qualche bustina di ero. Intanto per strada, nascosto in una macchina, il luogotenente tiene il grosso della droga. Quando i ragazzini la finiscono, gli portano i soldi, e ne prendono altra. Così i luogotenenti non si espongono e sono sempre pronti a scappare, ai ragazzini non si da troppa roba in mano e comunque, se beccano un ragazzino, sanno che quello non parlerà mai, altrimenti gli stuprano le sorelle e gli impiccano la madre.
Ma, se si conosce come funziona, nessun sistema è perfetto. Di tanto in tanto, vengo qui la notte, a ricordare a questi bastardi, che possono anche mandare i loro tredicenni in giro, ma questo, non significa “sicurezza”. Parcheggio un po' lontano, ma la notte mi è amica in questi casi. Trovo un punto non troppo scoperto e mi ci arrampico. Il posto è l'ideale per lo spaccio, ma anche per le imboscate.
Ecco un ragazzino che sta uscendo sulla strada, ha finito le dosi. Aspetto, intanto tiro l'otturatore e lo blocco in apertura. Metto il colpo nella camera di cartuccia, ritiro il carrello per mandare in chiusura l'otturatore e dò un colpetto sulla leva oace, per stabilizzare per bene il colpo in canna.
Il ragazzino è arrivato alla macchina. Tiro su la diottra, e valuto le distanze: saranno 400 metri. Allineo l'innesto a coda di rondine alla tacca di mira, ed ecco che esce il luogotenente. Che bella giacca.

Centro degli occhi: se faccio fuoco ora gli riduco la testa come un'arachide nello schiaccianoci.
Un po' più giù.
Plesso solare: se faccio fuoco ora gli buco un polmone e rischia di sopravvivere troppo felicemente.
Un po' più giù.
Stomaco: se faccio fuoco ora difficilmente si salverà, ma morirà dissanguato tra atroci sofferenze.
Un po' più giù.
Perfetto.
Bang.

"Pronto, ospedale"
"Un'ambulanza in via Bob Robertson, c'è un ferito da arma da fuoco all'inguine"
"Il suo nome, prego?"
"...So che è una domanda di routine, ma potrebbe evitare di farmela, una volta tanto?"
"Vaffanculo"
La gente non apprezza mai la sincerità.

Capitolo 2.1 01157050551564

Sono le 2:20 a.m. quando calpesto l'umido vialetto che porta all'ingresso di casa, mentre l'odore dell'erba umida mi riempie i polmoni e le orecchie godono del silenzio notturno, rotto solo dal cigolare del cancelletto.

Ho la testa pesante, e, cosa peggiore, nessun pensiero mi attraversa il cervello... Solo il vuoto, la mia più grande paura.
Faccio una doccia e mi butto sul divano, afferro il telefono e compongo il numero lasciatomi in sfortunata eredità da Cara: 011 57 050 551564... attendo... clac:

"Siete stati connessi alla casella vocale dell'agente AK 7321, la casella contiene UN messaggio:
Sir - è la voce di Cara - ho preso contatto con l'agente speciale JH 01, ho ricevuto copia dei fascicoli da lei richiesti, sono al momento affidati alle cure di Mr. John O'Connor, numero di previdenza sociale: 00470076. Il signor O'Connor è al corrente delle nostre operazioni. Resto in attesa di nuove disposizioni."

Domande... non ho tempo, non ho voglia di pormele. Non sono confuso, non sento di essere stato usato, non ho bisogno del mio bicchiere di scotch. Non ho portato a termine il mio lavoro con Cara, Cara mi ha coinvolto nel suo.

La gente normale andrebbe dai Federali e lascerebbe loro a sbrogliare la matassa, conservando la simpatica sensazione di aver assolto ai propri doveri morali. La gente normale...

venerdì 21 settembre 2007

Capitolo 2 - L'agenda

In centrale c'è Edward Bauer stasera.
"BLADE! Maledetta quella cagna che ti ha figliato, mi sembrava di essere stato chiaro l'ultima volta!"
"Si calmi Bauer. La vittima era una mia cliente."
"Ah, ecco! Come se non bastasse, mi sventrano una donna davanti a mezza stazione e ci sei anche tu di mezzo!"
"Bauer, mi aveva chiesto di essere nascosta per qualche giorno e accompagnata alla stazione, ma non m'ha voluto dire nè da chi scappava nè perché. Non ho svolto bene il mio lavoro e per questo la mia cliente c'è finita di mezzo. Può evitarmi la predica almeno lei?"
"Brutto sacco di merda che non sei altro, non venirmi a raccontare cazzate! Non ci credo manco per il cazzo che non sai niente, ora vieni nel mio ufficio e mi racconti tutto, o stanotte ti chiudo in cella con Kelly 'la bestia', e domattina scommetto che ti si è sciolta la lingua!"
Andiamo nel suo ufficio.
"Bauer, la gente viene da me e non da voi perchè io non faccio domande. Avete identificato i cinesi?"
"Non cambiare argomento! Ora ripetimi tutto per filo e per segno, dalla prima volta che i tuoi occhi si posarono su quella ragazza fino all'ultimo passo che hai fatto prima dell'arrivo dei miei uomini! Ci sono tre cadaveri sparsi qua e là per mezza stazione, altri quattro con delle semiautomatiche addosso e dei buchi in fronte che sembra esserci passato un aereo dentro e tu mi vieni a parlare di riservatezza!"
Tra polizia e spioni non c'è un buon rapporto.
Gli racconto tutto con ordine, mentre un agente batte a macchina.
Tutto, tranne dell'agendina, ovviamente.
"Collaboriamo per capirci qualcosa?"
"Blade, sparisci dalla mia vista prima che ci ripenso e mando te a rastrellare gli intestini in giro per la stazione. Qui siamo noi che risolviamo i casi, tu torna a spiare qualche riccone che non sa tenere il pisello tra le mutande. E resta a mia disposizione in città."
Firmo la deposizione ed esco fuori. La pioggia mi batte sul volto come sputi di un dio schifato. Bauer. Testa di cazzo.
Ritiro la macchina dal parcheggio della polizia, faccio il giro dell'isolato e mi fermo davanti la centrale. Accendo la radio modificata che ho in macchina e la sintonizzo sulla frequenza del microfono ambientale che ho nascosto sotto la mia sedia nell'ufficio di Bauer. Ha solo cinque ore di autonomia, mi ci vuole un po' di fortuna.
Solo rumori di sottofondo. Meglio, così finalmente posso guardare l'agendina di Cara.

Soltanto ora, a mente lucida, la riconosco: è una mia vecchia agendina che avevo a casa e che non avevo mai usato.
La apro e sfoglio un po' di pagine. Sembra completamente vuota. La risfoglio più lentamente, e trovo una pagina con scritto qualcosa:

011 57 050 551564
-------------
Leroy Harmon
via Abraham Lincoln 215

Via Abraham Lincoln è una delle parallele dei quartieri bassi. Ma il primo numero sembra un internazionale. Tiro fuori il cellulare, premo a lungo il numero 1 e parte la chiamata automatica verso il gestore di telefonia.
"Buonasera centralino"
"Buonasera, posso sapere se 011 57 è un prefisso internazionale?"
"Certo, un attimo solo... 011 57 ha detto?"
"Si"
"Mmm... Colombia"
"Colombia???"
"Si, Colombia"
".. la ringrazio, buona sera"
Solo ora mi rendo conto di non averci capito niente di tutta questa storia.

"Capo Bauer" gracchia la radio
"Si?"
"Abbiamo identificato i quattro cinesi. Erano stati tutti schedati dopo una retata nella zona portuale, arrestati per possesso di stupefacenti. Da indiscrezioni ci risultava che fossero loro i veri gestori del traffico, ma non riuscimmo a trovare niente per incastrarli per spaccio internazionale e si fecero solo qualche anno di gattabuia per la poca droga che avevano addosso. Non sappiamo che legami possano avere con la ragazza"
"Grazie, dammi gli incartamenti e fammi sapere quando sono pronti i risultati dell'autopsia. E già che ci sei, portami un caffè."

Capitolo 1.5 I treni

Non ricordo il nome di quell'attore di vaudeville che non amava i treni... La sua battuta preferita era "É molto brutto prendere un treno, preferisco prenderne uno, e due sì". In realtà non era molto famoso, anzi non era famoso per un cazzo, e in effetti le sue battute erano piuttosto penose.
Fatto sta che morì in un incidente aereo, un volo sperimentale su un bimotore. Strano destino no?

Continua a piovere mentre io e Cara ci avviciniamo al binario numero nove, il treno che deve portarla lontano è in ritardo, un fottuto ritardo, forse aveva ragione il comico del vaudeville, meglio non fidarsi dei treni.

Ore 20:59, la pioggia è passata lasciando spazio a una nebbia umida e gelida, il treno non arriverà in breve tempo, è bloccato a diciotto miglia da noi da uno smottamento causato dalle continue piogge. Io e Cara usciamo dalla stazione, alcuni cinesi sniffano colla in un angolo, magri, con i vestiti laceri, zuppi e sporchi come il tappeto di una mensa per i poveri in un giorno di novembre. Ci dirigiamo verso la macchina quando i cinesi si alzano e vengono verso di noi, sono sette. La mia diffidenza dice che potrei ammazzarli tutti, e mi resterebbero nove pallottole. La mia educazione mi fa aspettare un attimo di troppo.

Succede tutto in trenta secondi circa.

Tre cinesi sono dietro di me, due prendono Cara, gli altri tirano fuori delle automatiche e iniziano a sparare. Estraggo anche io, la mia mira è migliore, li ammazzo tutti come cani rabbiosi poi mi giro verso Cara.

É a terra in un lago di sangue, una lama nel ventre, non respira più.

Mi getto all'inseguimento dei tre cinesi rimasti, questi si buttano nella stazione, cercando di confondersi con la folla, non conoscono bene il posto e si vede, taglio loro la strada, nei pressi del binario nove. Gli punto addosso la pistola e gli intimo di mettere il muso a terra. Si girano e saltano nel binario, appena in tempo perchè il treno che aspettavamo potesse investirli in pieno.
Vatti a fidare degli orari dei treni.

Torno da Cara correndo, la polizia non è ancora arrivata e neanche un passante si è fermato a vedere cosa sia successo, stringe ancora in mano quella che sembra un agendina. Vinco le involontarie contrazioni post mortem e la raccolgo.

Prima di aprirla devo pensare a un funerale tuttavia.

giovedì 20 settembre 2007

Capitolo 1.4 Il sacco

Come tutte le mattine andai in ufficio, per non dare nell'occhio, e lasciai Cara a casa.
Trovavo sempre qualche scusa per affacciarmi ogni cinque minuti dalla finestra del mio ufficio, ma non vedevo mai due volte la stessa macchina parcheggiata, nè gente che mi stesse controllando.
Telefonavo ogni ora a Cara. La paranoia è una virtù, si dice in questi casi.
Decisi che saremmo partiti questa sera perchè il meteo prevedeva pioggia: niente di meglio per coprirsi il viso.
La mattinata passò in fretta, senza clienti. Tornai a casa con la spesa ma non vidi Cara. Pensai che si fosse appisolata. In queste notti la sentii spesso camminare nella sua stanza. Normale fosse in apprensione.
Volevo fare una doccia prima di mangiare, ma non avevo molta fame, per cui decisi di fare prima un po' di attività fisica, anche per prepararmi alla sera. Ma niente mi avrebbe preparato a quello che sarebbe successo.
Misi una maglietta bianca, mi fasciai le mani e cominciai a prendere a pugni il sacco.
La faccenda di Cara mi aveva fatto staccare un po' la spina da quella che era la mia missione, e questo era un bene, anche per confondere un po' Freddy il pazzo. Giorni di guerra, giorni di pace, senza motivo. E non potevo esagerare, perchè ogni volta rischiavo sempre più di venire preso.

Il sacco oramai era sbiadito all'altezza dei miei pugni, ma non si era mai lamentato. Il sacco è lo sparring partner perfetto, incassa e non si lagna mai. Puoi parlare al sacco mentre lo colpisci, e lui sarà sempre comprensivo, prenderà i tuoi pugni ricambiandoti col calmante sibilo dei suoi organi in segatura.
"Freddy"
Affondo.
"FREDDY"
Jab, jab, affondo.
"Maledetta infezione della crosta terrestre"
Schivata, jab, gancio.
"Non mi conosci, ma sono quello che chiuderà la tua marcia all'inferno"
Ginocchiata, calcio in allungo.
"Sono la cinghiata sulla schiena mentre guardi avanti"
Gomitata, gomitata, affondo.
"Sono lo sputo di sangue dal tuo muso rotto"
Calcio basso, schivata, affondo.
"FREDDY"
Gomitata, percossa laterale, schivata.
"Sono l'incubo dalla testa di un pazzo"
Bloccaggio, ginocchiata, affondo.
"Sono la bava di un morto di overdose"
Jab, affondo, jab, gancio.
"Sono una febbre emorragica. E la sua cura"
Rumore.
Mi girai, Cara era lì.
Tirai il fiato. "Da quanto sei lì?"
"Chi è Freddy?"
"Andiamo a mangiare"

mercoledì 19 settembre 2007

Capitolo 1.3 La notte

Non dormii granchè quella notte.
Ma non furono i fantasmi del passato a tenermi sveglio, se in qualche modo è da questi che bisogna guardarsi, nè le mie aspettative sul futuro.
Il lavoro era l'ultima delle mie preoccupazioni, la faccenda era apparsa fin troppo semplice, non ero sveglio per via di Cara Barol, che dormiva al piano di sopra. Forse non ero affatto sveglio.
Andai vicino la camera da letto, non so esattamente perchè, ma restai lì a pensare alla casa, aveva ospitato di nuovo qualcuno diverso da me. Nella sua antica austerità sapeva ancora essere accogliente, il miglior posto al mondo, l'unico dove restare forse.
Cara dormiva della grossa, scesi di sotto e cercai di riaddormentarmi.
Passai il tempo a pensare alle volte in cui mi ero ubriacato al college, questo pensiero mi rilassò e portò via con sè il buio. La luce, invece, portò via i ricordi e gli amici.
Meglio così, mi sentivo sollevato e meschino allo stesso tempo.
Mi addormentai.
Fui svegliato dal caffè di Cara, quella sera l'avrei accompagnata in stazione.

martedì 18 settembre 2007

Capitolo 1.2 - 10 giorni

Entrai dal garage, e feci scendere Cara dalla macchina.
Fece un'espressione stupita, ma potevo capirla: il garage era la mia palestra personale, con bersagli, armi, pesi e quant'altro.
Quando hai bisogno di non pensare, un sacco da pugilato aiuta non poco.
Salimmo di sopra e le mostrai il resto della casa.
"Puoi dormire qui, nella camera da letto, io dormo sul divano..."
Stava per dire qualcosa, ma probabilmente la stupì di più il vedere la camera da letto immacolata. Non dormivo lì da anni.
"Il bagno è qui di fianco, se vuoi fare una doccia, io intanto preparo qualcosa da mettere sotto i denti"
Le diedi un accappatoio e mi misi ai fornelli, ma prima, mi versai qualche dito di scotch: "dalla Scozia" diceva l'etichetta. Figuratevi.
Aprii il frigo e efferrai delle ali di pollo. Le ripulii della pelle e dalle ossa, tagliai il pollo a cubetti e lo cucinai in un po' di vino bianco e tabasco. Trovai delle salse da spalmare sul pane così ne misi qualche fetta a riscaldare nel forno, intanto condii un po' di verdure e feci soffriggere un po' di cipolla.
Certo, non sarà l'Hilton, ma a vivere da soli si imparano tante cose.
Cara uscì dalla doccia, si mise dei miei vestiti puliti e venne a tavola.
"Spero che la casa ti piaccia, perchè dovrai rimanerci per una decina di giorni"
"Ma il mio volo è tra sei giorni!"
"Appunto, devi disdirlo. Se non vuoi lasciare tracce lascia perdere gli aereoporti, basta fare una telefonata ben sceneggiata ad un centralino per avere informazioni. Dovrai prendere il treno."
Di nuovo quella faccia stupita.
"Accendi la televisione se vuoi, nella libreria lì di fianco ci sono un po' di giornali, qualche film e qualche libro"
"Va bene..."
"Sei sicura che dove andrai non potranno trovarti?"
"Si, vado da parenti che nessuno conosce"
Con qualche telefonata cambiai il biglietto dell'aereo in uno per il treno, uno di quelli senza prenotazione, utilizzabili a piacere, verso la stessa città.
"Max"
"Si?"
"Grazie"
Avevo proprio bisogno del sacco, se volevo mantenere un po' di professionalità.

lunedì 17 settembre 2007

Capitolo 1.1 Ombre

No, non sono paranoico. È vero, la mia cliente aveva detto di non essere stata seguita, ma, sapete, la prudenza allunga la vita, in molti casi. E comunque, siamo tutti seguiti in qualche modo, che noi lo vogliamo oppure no. Prendete la nostra ombra, è sempre lì, parte sotto i nostri piedi, e resta a imitare ogni nostro movimento. L'ombra non decide mai nulla, solo deforma quello che noi facciamo con la sua figura nera.
Non ho ancora capito come faccia a non annoiarsi, sempre lì sospesa nella vita altrui, in silenzio. L'ombra non parla mai con nessuno...
Nessuno che non voglia ascoltarla veramente.

Mio nonno era solito raccontarmi una storia riguardo al padre: era un inverno gelido del XIX secolo e nel Manitoba quell'anno le nevi erano state abbondanti. Il mio bisnonno era a caccia di caribou, e si era acquattato sotto una pianta di rovi, presso un tasso, e stava lì in attesa, finchè non si allungò sulla neve un'ombra, immobile, diffidente. Il mio avo non riusciva a scorgerne il proprietario, allungò il viso fuori del nascondiglio ma sentì qualcuno afferrargli i piedi e tirarlo via dall'altra parte.
Non ebbe il tempo di alzare il cane del fucile, fortunatamente: era uno sciamano piedi neri, con un giovane di una quindicina d'anni a cui disse, in modo che il padre di mio nonno potesse sentire: "Non fidarti delle ombre, neanche della tua, loro sono con noi ma non sono state create per noi."
Mangiò con loro quella sera il mio bisnonno, un caribou arrosto, catturato dai piedi neri.

Anticamente si parlava dei morti come di ombre sfuggenti, gli indiani dicono lo stesso. L'ombra con le sue due dimensioni forse vuole ricordarci che torneremo a essere bidimensionali, come un granello di polvere. La polvere...


Mi diressi verso downtown, ero a corto di benzina, e avevo bisogno di bere. Cara Barol mi aveva messo una sete dannata addosso. Guidai per circa seicento metri sulla quarantesima prima di girare in Melville Avenue e fermarmi al numero 19, di fronte a un vecchio villino vittoriano, cadente, con lo steccato forse bianco in precedenza. Il giardino non era curato, non c'erano fiori, non vi gironzolavano gatti.
Una volta ci abitavo con tutta la famiglia.

domenica 16 settembre 2007

Capitolo 1 - Cara

Ore: 21:35.
Luogo: stazione ferroviaria della città fredda.
Motivo: un lavoro fin troppo facile.
Pioveva una pioggia pesante e sporca mentre accompagnavo la mia cliente al suo binario e, senza saperlo, incontro alla morte.
Un altro cadavere sulla mia già pesante coscienza.
Ma andiamo con ordine.

Qualche giorno fa, una brunetta un po' troppo spaventata è piombata nel mio ufficio e senza troppi giri di parole mi ha offerto 1000 pezzi per essere nascosta qualche giorno e scortata fino all'aereoporto. Diceva che aveva pestato i piedi alla gente sbagliata, e questi la stavano cercando. Aveva dei begli occhi neri, la carnagione scura, e quell'aria stanca e un po' sciupata delle prostitute: probabilmente aveva nascosto qualche spicciolo dalla percentuale del suo magnaccia, ma l'avevano beccata e ora stava cercando di scappare.
"Signorina..."
"Cara Barol"
"Signorina Cara, sa', ora mi trovo in una situazione delicata"
"Cosa vuole dire?"
"Voglio dire che, anche se lei ha accuratamente evitato l'argomento, devo sapere da chi la devo proteggere, per valutare la pericolosità del suo nemico"
Abbassò lo sguardo, ci pensò un attimo e mi disse:
"Le basta sapere che è gente pericolosa, e che sono in molti. D'altronde se sono venuta da lei e non sono andata dalla polizia è perchè sono in una situazione molto delicata. E la sua discrezione è pagata."
"E' sicura che non l'hanno seguita fin qui?"
"No, oramai si saranno accorti della mia assenza e avranno mandato i loro uomini a cercarmi sulle strade che portano fuori, all'aereoporto e alle stazioni, ma non mi hanno seguita, non sono una sprovveduta".
Ma era maledettamente avara di dettagli.
"Va bene, allora non perdiamo altro tempo".
Andammo nel garage, la feci sdraiare sul sedile di dietro, la nascosi sotto una coperta, e partii.
Il cielo era scuro come se l'avessero pestato, e l'aria era intrisa di umidità. Guardai il barometro che avevo sul cruscotto, ma la pressione era ancora alta, non avrebbe piovuto nelle prossime ore. Girai un po' per la città: passai per Chinatown, sempre brulicante di attività ad ogni ora, i quartieri residenziali dei poveri, dove ti rubano la casa se non c'è sempre qualcuno armato dentro, il porto, con i suoi cargo pieni di merce scadente affianco alle navi da crociera extra-lusso, fino a salire per le colline, nei quartieri dei ricchi, dove la strada è più sgombra dal traffico.
Era vero, nessuno mi seguiva.

Prologo - 2 - Discendenza

La gente normale... ma capirete che già dal nome di famiglia che mi porto dietro, qualcosa nei Blade è geneticamente lontano dalla normalità. Il padre del padre di mio nonno era un medico.
O almeno lo era per i suoi tempi.
In realtà era una specie di ciarlatano che raccoglieva erbe mediche nei boschi del Wyoming. Non che non guarisse i suoi pazienti, intendiamoci, ma da quello che mi è stato tramandato, trovava molta più soddisfazione nella sua attività di botanico che nella vita tra i suoi consimili. Pare che avesse molta dimestichezza con le bestie selvatiche, e che sua moglie si lamentasse spesso del suo odore, più vicino a quello del muschio che a quello di un essere umano.
Morì per mano di consimili, mentre raccoglieva funghi, accusato di stregoneria.
Né sua moglie né i suoi figli poterono andare in analisi.

domenica 9 settembre 2007

Prologo

Max Blade.
Detective privato.
Così recita la targhetta in simil-bronzo sulla porta del mio ufficio in via Mark Twain, n°1, leggermente sbiadita non so se dal tempo, dalle piogge acide o dalla mia stanchezza, che oramai, evidentemente, percepiscono anche i soprammobili.
“Detective privato”.
Non sono mai riuscito a trovare un termine più adatto per il mio mestiere, anche se, non sono proprio quello che si può definire un “Detective privato”.
Quella è una buona etichetta per il lavoro che mi da da mangiare. In realtà, tra un pedinamento e un altro, porto avanti una crociata personale contro “Freddy il pazzo”, un mafiosetto tutto crack e belle donne che da anni si toglie la merda da dietro con carta igienica troppo costosa per quel suo culone obeso.
Perchè?
Anni fa, per via di un caso, le nostre vie si incrociarono e... beh, successe qualcosa di, come dire, spiacevole (pallido eufemismo).
La gente normale va in terapia quando succedono queste cose.
La gente normale.